
23 Marzo 2025/ Anno C
Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9
Al capitolo 13 del suo vangelo, Luca racconta di alcuni che riferiscono a Gesù di un eccidio ordinato da Pilato per sterminare un gruppo di ribelli galilei: si vorrebbe che Gesù prenda una posizione per condannare l’iniquità del potere e la sua violenza, ma egli non cade in questa trappola e, come sempre, conduce i suoi interlocutori a un altro livello di lettura della questione.
In realtà, ciò che viene chiesto a Gesù rispecchia la tendenza, tipica del tempo, a dare a eventi come quello riportato un’interpretazione politica o religiosa: la prima, tendente a dividere il mondo in buoni e cattivi; la seconda incline piuttosto a vedere in uno sterminio (o in incidente mortale come quello che Gesù stesso cita subito dopo) una punizione di Dio per il peccato, punizione che, a sua volta, paleserebbe chi è nel peccato (coloro che sono colpiti) e chi è nel giusto (gli altri, che magari ringraziano Dio di non essere come quei peccatori!). Gesù, però, rifiuta nettamente queste due vie: pur sottolineando l’orrore commesso da Pilato, che ha mescolato sacrilegamente sacrificio ed eccidio, non intende dividere il mondo in categorie opposte, né in senso politico, né in senso religioso.
Il linguaggio che Luca pone sulle labbra di Gesù ha, di certo, una sua ambiguità che va decodificata: escluso il rapporto di causa-effetto tra il peccato e quegli eventi di cronaca, sembra quasi che, per Gesù, Dio punisca coloro che non si convertono. In realtà, Gesù si esprime come i profeti della Prima Alleanza: egli parla come quei profeti che vedono nell’esilio in Babilonia un castigo per l’infedeltà del popolo.
La verità è che chi non approfitta del tempo presente per volgersi di nuovo a Dio, per cambiare vita, non si libererà dal male che può accadere. Il male viene non perché Dio castiga, ma perché una mancata conversione fa precipitare l’uomo in situazioni di debolezza e di errore e questo genera ingiustizie e dolori.
Per Gesù il problema è altrove: la vera questione, infatti, riguarda per lui la lettura che della storia si è capaci di fare. Alla fine del capitolo precedente, Gesù aveva invitato a guardare e osservare con discernimento i segni dei tempi (cf. Lc 12,54-59): qui Luca mostra Gesù che indica due eventi storici precisi da cogliersi come segni dei tempi e da cui è possibile trarre un appello pressante.
Questi eventi non sono punizioni di Dio, ma sono il segno della caducità dell’uomo: sono il segno di un tempo che è “breve” e che, pertanto, richiama all’urgenza della conversione. Gesù invita così a scegliere!
L’urgenza della scelta da compiersi non è in contrasto con il seguito della pagina evangelica: la parabola del fico, infatti, suggerisce una pazienza che sembra incoraggiare il rimando di qualsiasi urgenza.
In realtà, la misericordia paziente di Dio non intende spegnere l’urgenza: al contrario, è proprio l’esperienza della longanime misericordia divina a rendere intollerabile ogni rimando, perché mette l’uomo di fronte a un amore che esige e attende una risposta.
La debolezza, la fragilità, la caducità non sono, dunque, ostacolo all’urgenza della conversione, ma sono la profonda ragione di essa.
La parabola del fico pieno di foglie e senza frutti non intende, però, neppure contrapporre la giustizia del Padre e la misericordia del Figlio: nessuna opposizione tra il «Taglialo!» del padrone della vigna e il «Lascialo ancora quest’anno» del vignaiolo.
La parabola vuole solo annunciare – in linea con tutta la tradizione veterotestamentaria – che in Dio giustizia e misericordia sono sempre in un dialogo tanto misterioso quanto vero: se dal lato degli uomini giustizia e misericordia esprimono una tensione insolubile, dal lato di Dio esse sono, misteriosamente, una realtà unica, nella quale nessuna delle due dimensioni annulla l’altra.
Il Dio narrato da Gesù è un Dio che prolunga persino il tempo, per permettere all’uomo di usare il tempo saggiamente, vivendolo e non sprecandolo. All’uomo la libertà di scegliere di che vita vivere e di che morte morire.
P. Gianpiero Tavolaro
