16 Marzo 2025/ Anno C
Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9, 28b-36
L’evento della trasfigurazione è al centro della seconda tappa della Quaresima. Luca, però, preferisce non utilizzare il termine trasfigurazione (metamòrphosis, in greco), perché, probabilmente, per il suo uditorio di provenienza pagana esso poteva risultare ambiguo, evocando le metamorfosi mitologiche cantate dai grandi poeti greci e latini (da Omero a Esiodo a Ovidio).
Luca ci tiene a dire che non si tratta di un mito (collocabile in un tempo originario “fuori” dal tempo degli uomini), ma di una rivelazione di Dio, che avviene nella storia degli uomini amati da Dio (cf. Lc 2,14).
Nei versetti che precedono questo racconto, Gesù ha annunciato la sua passione e ha proclamato che alcuni, viventi in quel momento, avrebbero visto la gloria del Figlio di Dio (cf. Lc 9,21-27): ciò che accade sul monte, dunque, è per Luca conferma di questa parola e qualcuno (Pietro, Giacomo e Giovanni) inizia a vedere la gloria, rendendosi conto della presenza di Dio che salva.
In più, Luca dice che il volto di Gesù divenne “altro”: Gesù non è solo quello che i discepoli avevano potuto vedere o capire: egli è quell’alterità che viene ad abitare l’umano e vuole afferrarlo, per dargli il “sapore di Dio”!
Sul monte, il Padre proclama che nel suo Figlio amato è offerta a tutti gli uomini una vera possibilità di alterità, ossia di santità!
La scena del monte, però, dice anche che la possibilità offerta da Gesù non è “a basso prezzo” (cf. 1Cor 6,20): la via che egli ha percorso e che ha preparato per l’uomo è, infatti, quella di un esodo costoso.
Non a caso, i tre discepoli, saliti sul monte, vedono, accanto a Gesù, Mosè ed Elia, i profeti per eccellenza della prima Alleanza.
Anch’essi sono saliti su di un monte per incontrare la gloria di Dio: Mosè, che aveva guidato l’esodo dall’Egitto sperimentando al Sinai la presenza di Dio, aveva chiesto di vedere un volto che tuttavia non poté vedere (cf. Es 33,17-23); Elia, che su quello stesso monte era salito stanco e perseguitato, aveva percepito la presenza di Dio non nei turbini, nel fuoco o nella tempesta, ma in un silenzio trattenuto che gli chiedeva di iniziare a intraprendere gli ultimi passi della sua v
Ora sul monte, tra Mosè ed Elia, c’è Gesù, il quale – nel mostrare a Mosè quel volto che tanto aveva desiderato vedere – è pronto a entrare nel silenzio trattenuto della morte, in cui Dio, paradossalmente, parlerà all’uomo, raccontandogli la sua tenerezza e la sua misericordia.
L’esodo di Mosè si compirà in Gesù e il Dio silenzioso di Elia scenderà nel più profondo dei silenzi: quello del sepolcro di Gerusalemme.
Luca sottolinea che Mosè ed Elia parlano con Gesù dell’esodo che avrebbe compiuto a Gerusalemme, portando compimento l’antico esodo di Israele dall’Egitto.
Dinanzi a tutto ciò resta il rischio del sonno, che sta a significare il sottrarsi a una possibilità ritenuta troppo costosa perché la si affronti: Pietro e gli altri vivono quest’ora in un sonno opprimente… un sonno che parla dell’impotenza dell’uomo davanti all’iniziativa di alleanza che Dio vuole stipulare con la storia… un sonno ci dice che l’umana condizione è spesso quella di chi entra in un ottundimento, che è incapacità a cogliere (o forse a reggere) quell’ora di esodo dinanzi a cui bisogna prendere una decisione!
In quel sonno si può avere l’illusione di poter imprigionare Dio, come vorrebbe Pietro: «Facciamo tre capanne…».
Ma la sua è una istanza ingenua, perché vorrebbe abitare nella luce di Pasqua senza alcun esodo costoso.
Luca dice che questo è essere insipienti: «Egli non sapeva quello che diceva». Pietro è espressione dell’illusione che la vita sia la conquista dello star bene e basta…
Vivere da discepoli impone di entrare nel silenzio ed essere disposti a quella croce su cui l’uomo vecchio deve essere crocefisso!
Non si arriva alla gioia piena senza i “no” dolorosi da dire all’uomo vecchio: è la dinamica pasquale, cui la Quaresima allena i credenti.
P. Ganpiero Tavolaro
