13 Aprile 2025/ Anno C

Is 50, 4-7; Sal 21; Fil 2, 6-11; Lc 22,14-23,56

Entrare nella Pasqua di Gesù significa essenzialmente lasciare che sia la Pasqua di Gesù a prendere possesso della propria vita, perché questa abbia, sempre più, il sapore dell’evangelo.

Per la sua peculiare relazione con la Pasqua, la Settimana Santa si presenta allora come un tempo davvero “altro”, che ciascun battezzato dovrebbe vivere non come una sorta di “isola santa” in mezzo al resto dei giorni “profani”, ma come ritorno a quella fonte della fede che ha fatto e fa “santi” tutti i giorni.

Ogni anno la comunità credente si ferma per ritrovare quelle radici di santità, di alterità, di possibilità di uscire davvero dalle asfissie mondane e la radice di tutto questo risiede in una passione, in un soffrire!

Non si tratta di amare e cercare il dolore per il dolore o per una incapacità di gustare la gioia… nella passione di Gesù il cristiano riconosce il più grande “segreto” di Dio e, al tempo stesso, il più grande “segreto” dell’uomo: l’amore senza limiti e senza riserve, senza calcoli e al di fuori di ogni “mondana sapienza”, l’amore “folle” che ama per l’amore, che ama il non-amabile, che sana amando, che dice il senso della vita dando la vita!

Nella sua Passione, Gesù racconta Dio, ma, nel farlo, racconta anche l’uomo! Gesù svela chi è Dio al di là di tutte le mistificazioni e rivela così anche chi è davvero l’uomo – creato a Sua immagine – e quale la meta dei suoi affanni e delle sue ricerche.

Il racconto della Passione è racchiuso, nella narrazione di Luca, tra due consegne: quella di Gesù ai suoi nel pane spezzato e nel calice versato – nonostante la durezza del cuore di Giuda e nonostante le paure e le presunzioni di Pietro – e quella al Padre nell’ora della morte sul legno dei maledetti. Gesù si consegna agli uomini e lo fa nel gesto eucaristico dando loro il pane del suo corpo e il calice del suo sangue; si consegna al bacio di Giuda che a sua volta lo consegna ai capi; questi lo consegnano a Pilato, che lo consegna ad Erode e questi lo riconsegna a Pilato, il quale, infine, lo consegna alla croce. Tutte queste consegne si versano nella grande consegna piena di fiducia, animata dalla sola fede: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).

Sulla croce il Figlio di Dio si consegna nella fede/fiducia al Padre: crede, si fida, si abbandona e lo fa gettandosi in mani che sono al di là della terribile cortina del dolore, del male subito, della solitudine … al di là del velo nero della morte.

Per Luca (a differenza di Marco e di Matteo) il velo del Santo dei Santi si lacera poco prima della morte di Gesù, divenendo il varco che il Padre apre per l’“esodo” del Figlio, un “esodo” in cui egli è «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), il primo dei quali, paradossalmente, sarà uno dei due ladri appesi alla croce al suo fianco.

Nella sua passione il nuovo Adamo fa il contrario di quanto aveva fatto il primo Adamo, che non si fidò, si nascose da Dio e chiuse il “velo” dell’accesso a Dio per sé e per la storia: il nuovo Adamo, Cristo Gesù, inchioda alla croce la disobbedienza del primo Adamo, le sue presunzioni, il suo oblio di Dio, la sua diffidenza nei confronti dell’amore di Dio, il suo fuggire dalla sua presenza e dalle sue mani di Padre, affidandosi proprio a quelle mani, obbediente e sottomesso, capace di passare di consegna in consegna per giungere all’atto supremo in cui è tutto abbandonato al Padre. Nell’ora della consegna estrema, Gesù non ha nemmeno parole sue, ma compie la consegna con le parole del Salmo 31, a cui aggiunge una parola sola: «Padre»!

Non a caso, nell’evangelo di Luca, la prima parola che Gesù dice è quella pronunciata a dodici anni, nel Tempio: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2,49); l’ultima parola, poi, è «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

Tutto l’evangelo secondo Luca è così una grande “inclusione” tra questi due “Padre”: una rivelazione del Padre attraverso la vita, le parole, i gesti di Gesù suo Figlio, il cui culmine di questa rivelazione è proprio in quella passione tanto dolorosa quanto beata.

Il nuovo Adamo ha riedificato ciò che il primo ha distrutto, proclamando una paternità che ha restituito a Dio il suo vero volto (quello di Padre amorevole) e donando il vero volto anche a ogni uomo (quello di figlio amato).

Vivere la Pasqua è lasciarsi invadere da questa fiducia di Gesù, «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2).

P. Gianpiero Tavolaro

Laurent de La Hyre (1606-1656): Ingresso di Gesù a Gerusalemme (Parigi, Saint Germain des Pres)