1 Settembre 2024/ Anno B
Dt 4, 1-2.6-8; Sal 14; Gc 1, 17-18.21-27; Mc 7, 1-8.14-15.21-23
L’uomo di ogni tempo tende a ritenere che ciò che lo minaccia sia qualcosa che proviene “da fuori”: è da ciò che è esterno che bisogna guardarsi, perché è solo in ciò che è “intimo” – sia esso il proprio universo interiore, la propria famiglia o il proprio gruppo –, che possono esservi salvezza e pace.
Gesù, tuttavia, non la pensa così e mette in crisi un tale modo di sentire e di pensare.
Ai farisei – che incarnano nel racconto evangelico l’atteggiamento di chi è troppo sbilanciato verso l’esterno e verso il mantenimento del suo ordine formale, preoccupandosi delle mani – Gesù risponde rinviandoli proprio all’intimo dell’uomo come luogo d’origine di tutti i mali, di tutte le impurità, di tutti i pericoli.
E così, mentre i farisei si pongono il problema del puro e dell’impuro a partire da ciò che entra nell’uomo, Gesù invita i suoi ascoltatori a non preoccuparsi delle mani ma del cuore, vale a dire del profondo dell’uomo.
Il cuore è il “luogo” che, in qualche modo, identifica l’uomo, lo fa essere ciò che è: in esso vi è anche la dimensione affettiva, nella quale, però, non si esaurisce l’uomo.
È dal cuore che proviene ogni forma di iniquità: «ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
La minaccia, dunque, non viene “dall’esterno”, ma “dal di dentro”: è lì che bisogna fare la guardia per non essere contaminati dal male e per non lasciarsi sopraffare.
Anzi, dall’esterno proviene per il credente la Parola di Dio che può indirizzare – a condizione che l’uomo lo voglia davvero – le sue profondità. Non solo, dunque, il fuori non è per l’uomo la più pericolosa delle minacce, ma vi è anche un fuori che può prendere possesso dell’uomo e condurlo sulle vie di Dio, mentre se l’uomo dovesse fidarsi “troppo” dell’interno potrebbe essere condotto addirittura su vie di morte.
La controversia sul puro e sull’impuro conduce, dunque, l’evangelo di Marco a sollevare una seria domanda circa il “fuori” e il “dentro”: tale controversia, d’altro canto, è incastonata tra le due moltiplicazioni dei pani, nelle quali viene descritta una grande sovrabbondanza del pane moltiplicato da Gesù, tanto che dodici (quante sono le tribù di Israele) sono le ceste avanzate la prima volta, sette (che è un numero di totalità) quelle avanzate la seconda volta.
Il Cristo, dunque, dona un pane che può saziare Israele, ma anche la totalità delle genti: anche da questo punto di vista non è possibile alcuna visione particolaristica per cui il bene è dentro (Israele) e il male è fuori (le genti)!
Anzi, il rischio può venire proprio “da dentro”: è il “cuore” di Israele che, se pervertito, può trasformarsi in cuore “religioso” che, in modo farisaico, si compiace e si nutre di dettami legalistici e soffocanti, che si presentano facilmente rassicuranti.
È allora necessario cercare lo spirito e non la lettera della Legge (cf. 2Cor 3,6: «La lettera uccide, lo Spirito invece dà vita»): cercare lo spirito, cioè il cuore della legge, è una fatica, mentre è più facile e tranquillizzante fermarsi alla lettera, cioè alle mere prescrizioni esteriori.
E così i farisei piuttosto che preoccuparsi di dare il “battesimo” ai bicchieri, alle stoviglie e agli oggetti di rame, dovrebbero preoccuparsi di quel “battesimo di conversione” che Giovanni il Battista aveva chiesto (cf. Mc 1,4): essi avrebbero bisogno di guardarsi dentro e di cercare un battesimo, che riguardi il profondo, invece di restare all’esterno e di combattere ciò che viene da fuori.
Questa “ossessione” legalista li rende ciechi dinanzi all’opera che Dio sta compiendo in Gesù, dinanzi a una vicinanza di Dio che sta capovolgendo la concezione di mondo in cui essi stessi vivono… una vicinanza che abbatte le barriere tra “fuori” e “dentro” e, al tempo stesso, conduce a un’obbedienza che non si ferma alla lettera della Legge, ma arriva al suo cuore… perché è lì, nell’arrivare al suo cuore, che si compie veramente la Legge…
P. Gianpiero Tavolaro