UNDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

16 Giugno 2024/ Anno B

Ez 17, 22-24; Sal 91; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34

Per parlare del Regno e introdurre i suoi ascoltatori all’interno di quello che non è solo uno tra i tanti “misteri” della vita di fede, ma che è il mistero al quale l’uomo è totalmente orientato (se è vero che tutta la predicazione di Gesù, in linea con quella profetico-apocalittica, intende preparare l’uomo alla imminente venuta del Regno di Dio), Gesù non ricorre a un linguaggio concettuale e tecnico – qual è quello di cui spesso le dottrine religiose si servono per esprimere le loro verità più essenziali –, ma predilige quella forma paradossale e interpellante che è propria del linguaggio parabolico.

Nulla di “aulico” è presente nelle parabole, costruite, come sono, intorno a scene, immagini, personaggi tratti dalla vita comune: eppure, ciò di cui esse parlano è la più elevata e nobile delle realtà che l’uomo possa concepire… il Regno di Dio, ossia l’essere pienamente in tutti di Dio.

Le parabole tentano, così, di costruire un ponte tra il mondo dell’uomo e Dio: esse si propongono di condurre l’ascoltatore nell’altrove di Dio, tenendo insieme – per quanto sia possibile al linguaggio umano – la non-estraneità, ma anche la distanza che intercorre tra l’umano e il divino.

Gesù parla di ciò che non si vede ancora mediante ciò che già si vede e, mentre cerca di rivelare l’invisibile, aiuta i suoi ascoltatori a capire che le “cose” del Regno di Dio non funzionano secondo i meccanismi soliti del mondo, né secondo i suoi tempi o le sue proporzioni. Sbaglia, dunque, chiunque voglia applicare nelle “cose” di Dio i medesimi parametri che contraddistinguono le “cose” del mondo, misurate, allora come oggi, secondo i criteri “quantitativi” del numero, del successo, del marketing…

Non è un caso che la prima parabola che Gesù racconta nell’evangelo sia quella del seminatore, con la quale si dice che il Regno è “fuori” dalla potenza dell’uomo e dal suo protagonismo: la costruzione del Regno passa per la potenza di un seme che è da Dio e che all’uomo sta semplicemente accogliere e custodire, perché possa vederne i frutti, secondo una “proporzione sproporzionata”, che è propria delle “cose” di Dio.

A questa parabola, Marco fa subito seguire – a mo’ di completamento, mediante una ripresa tematica – due brevi parabole: quella del seme che spunta da solo e quella del granello di senape.

Ancora dei semi per dire il Regno… ancora immagini che dicono piccolezza, forza vitale, sproporzione tra ciò che è dato all’inizio e ciò che sarà alla fine… Posto di fronte all’inarrestabile venuta del Regno di Dio, il discepolo di Gesù dovrebbe lasciarci istruire e toccare nel profondo da queste parole che invitano ad abbandonare ogni pretesa di grandezza, di visibilità a tutti i costi; ogni pretesa di “contare” per il mondo; ogni pretesa di agire nella storia grazie alla potenza dei mezzi e delle strutture.

Questo è davvero un “evangelo”, una buona notizia: la venuta del Regno nella storia degli uomini passa non per l’evidente, ma per il nascosto; non per lo straordinario, ma per l’ordinario; non per il grandioso, ma per il piccolo… quella del Regno è una piccolezza che genera  grazia, che diviene – proprio come la pianta prodotta dal granello di senape – rifugio dei deboli («gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra»)… è una piccolezza che accoglie, perché solo la piccolezza sa accogliere davvero, capace com’è di non alzare muri di indifferenza  e di sospetto.

Per il mondo tutto questo è insignificante stoltezza(cf. 1Cor 1,22-25): eppure gli occhi di Dio guardano in modo diverso e, andando al di là di ciò che appare, sanno trovare grandezza dove c’è piccolezza… miseria dove c’è presunta grandezza! 

P. Gianpiero Tavolaro

Jean-François Millet (1814-1875): Il seminatore
(olio su tela, 1850, Boston Museum of Fine Arts)