1-2 Novembre 2022/ Anno C
Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a
Quando pensiamo ai “Santi” siamo tentati di pensare ai perfetti, a cristiani angelici, liberi dalle pastoie della nostra fragile umanità.
È una delle vie con cui il cristianesimo è stato reso innocuo dagli stessi cristiani; è stato addolcito perché non ferisse il cuore; perché l’uomo vecchio rimanesse ben saldo e piantato nella storia a fare i suoi affari più o meno loschi rimanendo con l’etichetta di cristiano. E così la santità è diventata l’eccezione, la straordinarietà. Quante volte sentiamo la stolta espressione: “Sono un uomo non sono un santo!”. Come se si potesse essere davvero uomo senza essere santo!
Essere santo non è altro dall’essere uomo, vorrei dire che la santità è la pienezza dell’umanità; Gesù non è venuto a indicarci una via sovrumana, ma una via umanissima, quella che Lui stesso ha percorso!
Oggi la Chiesa contempla la Communio sanctorum; noi, i santi in cammino nella storia, contemplando quelli che hanno compiuto il loro cammino e sono alla meta, sentiamo con loro una straordinaria cosa in comune: noi e loro apparteniamo a Dio, siamo altro dal mondo, siamo distinti. E questo non in maniera arrogante o elitaria, ma per grazia, per essere seme di santità per il mondo. Santo (in ebraico kadosh) significa “altro”, “distinto”, “separato” (la kedushà è il taglio del cordone ombelicale!)… Il santo, come Dio (Lv 19,2) è altro rispetto al mondo e alle sue logiche.
La pagina evangelica delle Beatitudini nella versione di Matteo, che oggi si proclama in tutta la Chiesa, è una pagina che certo non risponde alle attese che tanti avevano su Gesù. Dinanzi a Lui c’erano attese e domande morali … Gli stessi apostoli, dopo la Risurrezione, ancora mostrano queste attese: «Signore, è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?» (At 1,6) o altri avevano chiesto: «Che debbo fare per avere la vita eterna?» (Mt 19,16) quasi volendo dei precetti che potessero instaurare un alto ordine morale.
Gesù con le Beatitudini non intende fare nulla di tutto ciò; non è il proclama di un ordine nuovo nella storia, non è risposta alla “maledetta” ansia di fare degli uomini religiosi. Gesù qui rivela. Rivela l’uomo nuovo e la qualità della vera gioia. Gesù rivela quello che fa di Lui stesso il Santo di Dio (cfr Gv 6,69), in una gioia diversa da quella del mondo, che lo rende l’uomo nuovo in cammino verso Dio Infatti, secondo Andrè Chouraqui, nella sua traduzione francese della Bibbia, la parola greca màkarios, “beato”, corrisponde all’ebraico ashrei che evoca il cammino retto che conduce direttamente al Signore; per questo Chouraqui traduce in francese en marche, “in cammino”; il che toglie anche alla parola “beato” un che di statico a cui siamo portati a pensare).
Il beato è “in primis” Gesù. È Lui il povero, l’afflitto, l’affamato e assetato di giustizia; è Lui il misericordioso (interessante anche qui la versione francese di Chouraqui che traduce «Beati i materni», cioè quelli capaci di un amore viscerale, senza ragioni; un amore tanto grande da essere capace di perdono come quello di una madre. D’altro canto, chi è misericordioso dona e custodisce la vita, proprio come una madre!); è Lui il puro di cuore che guarda gli altri non per possederli ma con sguardo trasparente … è Lui il puro di cuore che non ha il cuore diviso; e Lui il costruttore di pace perché con la sua vita e la sua croce ha fatto pace tra cielo e terra (cf. Ef 2,14-15); è Lui il perseguitato per la giustizia perché per realizzare la giustizia del Padre (il suo progetto di amore) si è lasciato oltraggiare e inchiodare alla croce.
Le Beatitudini allora, svelando il volto di Cristo, svelano una via di gioia paradossale di cui il mondo ride. Il mondo però non sa che c’è una moltitudine immensa di uomini e donne che, come scrive Giovanni nel testo del Libro dell’Apocalisse che oggi si legge, seguendo Gesù, il Santo di Dio, sono stati resi vittoriosi (hanno le palme nelle mani) e sono stati resi seme di novità per tutta l’umanità da cui provengono e questo senza distinzione di razza, di popolo, di lingua. Il mondo, scrive sempre Giovanni, ma nel passo della sua Prima lettera, che pure oggi la Chiesa propone, non conosce i santi perché non conosce Dio; per questo il paradosso che essi portano per il mondo è incomprensibile: il mondo non può comprenderlo, né conoscerlo. Il mondo non può immaginare che poveri, afflitti, miti, affamati e assetati di giustizia, misericordiosi, puri, pacifici, perseguitati siano beati, siano gente che avrà la vittoria, siano gente che ha trovato senso … il mondo pensa che la terra è dei ricchi, degli arroganti, di coloro che schiacciano i poveri per i loro interessi, di chi non perdona, di chi è lussurioso, guerriero, persecutore …
Eppure, i santi, dice Gesù, possederanno la terra! È lo stesso paradosso che il Crocifisso ha mostrato al mondo con la sua vittoria! Il Risorto, il Signore è il Crocifisso! Lui il Cristo sulla croce ha sperimentato la povertà, l’afflizione, la mitezza; è stato sulla croce perché affamato e assetato di giustizia; lì, sulla croce, è stato misericordioso perdonando ed amando fino all’estremo, lì è stato puro di cuore, con il cuore unificato dall’amore, senza doppiezze o ambiguità; lì, sulla croce, ha operato la pace, lì ha sperimentato l’ingiusta persecuzione. Le Beatitudini insinuano un dubbio: potrebbe essere che i perdenti siano i vincitori e quelli che il mondo considera vincitori, in realtà, siano i perdenti!
Il problema della santità (l’unico serio problema per un cristiano!) è se crediamo che la via debole della croce sia davvero via di sapienza di Dio, se crediamo davvero che la via debole di Cristo con la sua mitezza ed umiltà, sia una via vincente proprio perché così altra da quelle del mondo. Il problema della santità è se questo mondo con le sue vie tortuose, perverse e mortifere, con le sue vie arroganti e “vittoriose” (sempre ammantate di buon senso) ci stia stretto o se, alla fin fine, ci stiamo comodi perché ci siamo adeguati …
Oggi la solenne memoria di Tutti i Santi ci indica un’altra strada, una strada di compromissione con Colui che chiamiamo Signore, una via che Lui ci indica come beatitudine e che Lui per primo ha percorso … gli prestiamo fede?
Se gli crediamo stiamo nella storia seguendo Lui ed il suo Evangelo e quando sperimenteremo i “no” del mondo che ci porranno ai margini, che ci faranno sentire l’amaro sapore del rifiuto, dell’irrisione, quando non quello della persecuzione, allora sapremo che, se per il mondo siamo dei perdenti, per Cristo saremo dei beati perché la storia darà ragione al Crocifisso perché la sua è via umanissima, perché via d’amore. Una via costosa, ma umanissima. In fondo, infatti, l’unica cosa che davvero importa all’uomo per essere uomo è amare ed essere amato.
P. Fabrizio Cristarella Orestano
MEMORIA DEI MORTI IN CRISTO
Gb 19,1.23-27a; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40
Is 25,6a.7-9; Sal 25; Rm 8,14-23; Mt 25,31-46
Sap 3,1-9; Sal 41; Ap 21,15a.6b-7, Mt 5,1-12a
Questa memoria va celebrata non come giorno di tristezza, ma come giorno di risurrezione; un giorno certo segnato da nostalgia per coloro che abbiamo amato e ci hanno amato e che ora sono sottratti ai nostri sguardi e alla nostra prossimità tangibile, ma anche giorno in cui si deve dilatare il nostro affetto e la nostra speranza verso tutti quelli che sono morti; certo, ci sono i fratelli cristiani, quelli che chiamiamo fedeli defunti o meglio morti in cristo (cf. Ap 14,13), ma lo sguardo del cuore oggi dovrebbe ancor più dilatarsi a tutti gli uomini, nostri fratelli, che sono passati per questa storia e che ora sono oltre la storia, anch’essi accolti da quel Dio che in Gesù si è rivelato a noi, senza alcun nostro merito, e che essi non hanno avuto la gioia di conoscere…quanti uomini sono passati per questa nostra terra!
Quanti hanno amato, sofferto, gioito, peccato, generato, sperato, pianto lacrime nascoste, quanti hanno gridato al cielo, quanti hanno odiato, disperato; quanti sono stati schiacciati dall’ingiustizia, dai poteri perversi, quanti hanno languito nella povertà, nella fame, nella nudità; quanti sono stati privati della libertà e della gioia di costruirsi una vita degnamente umana…quanti! Giusti, ingiusti, vittime e assassini, stolti e sapienti…giustiziati da altri uomini che si credevano padroni della vita, stolti e sapienti…quanti non sono neanche riusciti a nascere…quanti sono morti disperati…quanti gettati in battaglia come carne da macello, quanti affogati nei mari o perduti nei deserti…quanti!!
Oggi dobbiamo portarli tutti davanti a Dio, nella memoria di quelli che abbiamo amato e nella preghiera e solidarietà con tutti quelli che con noi hanno condiviso la nostra umanità! Siamo tutti uomini, tutti solidali nel bene e nel male, tutti parte di una stirpe creata dall’Amore e per l’amore e troppe volte infelice ed infelicitante perché sedotta da cose che con l’amore non hanno nulla a che vedere…
Oggi deve essere giorno di una grande pietà e giorno di una grande speranza!
D’una grande pietà perché noi credenti dobbiamo oggi con pietà infinita raccogliere la lacrime di tutti gli uomini che sono morti, i loro rifiuti, i loro orrori e le loro bellezze e deporli tutti davanti a Dio ed al suo amore; d’una grande speranza perché noi e solo noi discepoli di Cristo, sappiamo che Gesù, il Figlio amato del Padre è venuto per essere anch’egli un frammento di questa infinita umanità; Lui l’ Uno divenne frammento per essere accanto ad ogni frammento, per essere “primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29).
Noi, discepoli di Cristo, abbiamo un compito nella storia, quello di essere testimoni della speranza e, proprio dinanzi alla morte che è per tanti una diga alla speranza, noi abbiamo il compito di testimoniare una speranza nell’insperabile, una speranza che ha radici non in noi ma in Cristo che è il “più forte”, che ha legato il “forte”, che è il potere della morte (cf. Lc 11,21-22). La cosa sorprendente e paradossale è che questo “uomo più forte” è tale perché si è fatto debole fino alla croce per raggiungerci nella nostra debolezza estrema che è la morte. E così ha abitato la morte. Scriveva anni fa P. Ernesto Balducci: «il non-senso che è la morte è stato abitato dall’Amore» e questo ha tolto potere alla morte che è suprema espressione dell’odio e del peccato.
Ricordiamo sempre che la Scrittura fa entrare in scena la morte quando Caino uccide Abele (cf. Gen 4, 8), racconto potente dell’origine della morte: essa deriva dall’odio e dal peccato; la morte è creata dall’uomo che si è andato a gettare negli abissi della lontananza da Dio…Dio è la vita, come ha scritto l’autore del Libro di Giobbe, Egli è il Redentore, riscatta perché è vivo ed ha l’ultima parola sull’orrore della morte. La certezza di fede di Giobbe è diventata reale e storica in Gesù che «ha fatto la pace» ed ha vinto la morte «grazie al sangue della sua croce» (Col 1,20).
Il nostro compito è quello di “sperare per tutti”, come scriveva von Balthasar; sperare per quelli che sono morti senza speranza, per quelli che sono morti nel male, nel non-senso e nell’odio…sperare per quelli che non hanno conosciuto motivi di speranza; per quelli che hanno conosciuto solo il male, per quelli che, non amati, non hanno saputo amare…
Gesù, nel passo del Quarto Evangelo che leggiamo oggi, ci rivela ancora il cuore del Padre: «il Padre vuole che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno»…e il Padre gli ha dato tutta l’umanità, ogni uomo, di ogni tempo e per ognuno di noi il Padre ha un solo sogno: la vita! Non una vaga immortalità ma la risurrezione! Questa è l’autentica fede cristiana: la certezza che tutto ci verrà ridato, anche questo nostro corpo con cui abbiamo attraversato la storia, quel corpo segnato dalle nostre vicende, dai nostri peccati, ma anche dai nostri slanci e speranze; tutto ciò che la morte ci strappa ci verrà restituito dall’amore di Dio in Cristo Gesù!
A Cristo eleviamo oggi l’inno di lode per la sua Croce e la sua Risurrezione, a Lui, con amore solidale, presentiamo tutti gli uomini nostri fratelli che hanno calpestato questa terra stupenda e terribile e che sono giunti a quell’oltre che Lui abita…da parte nostra gridiamo quella grande speranza che Paolo proclama ai cristiani di Tessalonica: «Saremo sempre con il Signore!» (1Ts 4,17).
Oggi allora non è giorno di tetra mestizia, ma giorno di lieta speranza; certo è giorno pure di nostalgia, come dicevo, ma di una nostalgia che sa che ogni lontananza sarà colmata da Cristo e che ogni iniquità troverà le sue braccia spalancate in una misericordia che noi non riusciamo neanche a immaginare o a sognare!
A quella misericordia consegniamo tutti…tutti…tutti!
P. Fabrizio Cristarella Orestano