31 Ottobre 2021/ Anno B
Dt 6, 2-6; Sal 17; Eb 7, 23-28; Mc 12, 28-34
Cosa è essenziale nella relazione con Dio? Cosa è primario? La ricerca di questo primato spinge lo Scriba che incontriamo nel passo dell’Evangelo di oggi a porre a Gesù la domanda sul primo comandamento … come districarsi nella selva dei seicentotredici precetti che i rabbini riconoscono presenti nella Torah? Sono trecentossessantacinque divieti (tanti quanti i giorni di un anno) e duecentoquarantotto precetti positivi (quante le membra del corpo umano secondo le concezioni del tempo).
La ricerca dell’unumnecessarium fu l’impegno di tanta riflessione rabbinica e, se Davide – dicono – ridusse ad undici il numero di precetti (cf. Sal 15), Isaia li ridusse a sei (cf. Is 33,15), Micheaa tre (cf. Mi 6,8), Amos a due (cf. Am 5,4) ed infine Abacuc ad uno (cf. Ab 2,4)! Gesù qui, anche Lui, li riduce ad uno ma lo fa citando lo Shemà, che abbiamo ascoltato nel passo del Libro del Deuteronomio che oggi costituisce la prima lettura, ed unificando ad esso il comandamento dell’amore per il prossimo contenuto nel Libro del Levitico (19,18). È fondamentale capire che Gesù unifica i precetti dell’amore per Dio e dell’amore per il prossimo definendoli uno e proclamando che quest’unico comandamento ha primato su tutto!
Questo comando di amore, per Dio e per il prossimo, parte dalla fede; guai a dimenticarlo!
È amore per un Dio che si sperimenta nella fede, in quella fede che è adesione esistenziale e che nasce dall’ascolto, come chiede lo Shemà; è fede in quel Dio ascoltato e quindi conosciuto come “unico Signore” e quindi amato.
Ecco l’itinerario: ascoltare, conoscere, amare.
Giunto all’amore il credente è chiamato a verificare che il suo amore non sia mai disincarnato, che sia un amore che coinvolge tutto l’uomo e a tal proposito il testo insiste con quel “tutto”: tutto il suo cuore (il suo profondo), tutta la sua mente e tutte le sue capacità … Inoltre è bene sottolineare ancora una cosa: nel testo di Deuteronomio, che Gesù cita, «con tutte le tue forze», la parola ebraica originale che Marco traduce in greco con dianoías (“forze”) può significare anche “sostanze”, dunque: con tutto ciò che tu possiedi.
Insomma, un amore concretissimo e non fatto di belle parole o bei sentimenti; un amore invece che prende e “travolge” la vita con quel che si è e con quel che si ha; un amore connesso strettamente all’amore per il prossimo il quale, dunque, deve avere le medesime caratteristiche di totalità e di concretezza.
La fede che chiede Gesù, insomma, è una fede che genera un amore per Dio senza “fughe” dall’umano e un amore per gli uomini nostri fratelli senza “fughe” da Dio. Poiché i due sono un solo comandamento è necessario comprenderli bene ed insieme: non è discepolo di Cristo chi pretende di amare Dio senza l’orizzonte compromettente degli altri uomini e non è discepolo di Cristo chi pretende di esaurire nell’amore e nell’impegno per gli altri (siano anche i poveri più poveri) l’amore per Dio! Non è discepolo di Cristo l’uomo “religioso” disincarnato, ma non è neanche discepolo di Cristo chi vive una filantropia tutta dedita al fare e dimentica di Dio! Troppe volte abbiamo udito, in tal senso, espressioni come “amore per gli altri è amore per Dio…se faccio opere caritative le altre cose non servono, né preghiere, né liturgie, né vita ecclesiale perché sono più cristiano di tanti cristiani!”. Una specie di cristiani “moderni” e “fattuali” questi, che hanno fatto dell’Evangelo un manuale di filantropia e hanno tolto alla rivelazione cristiana quell’ “oltre”, quel “di più” che fa sconfinare l’uomo dagli asfittici spazi del misurabile, del pesabile, del toccabile, del materiale!
Di contro non è possibile neanche nessuna “fuga” in intimismi dimentichi della carne propria e di quella degli altri uomini!
Gesù dichiara che c’è un primo (l’amore per Dio) ed un secondo comandamento (l’amore per il prossimo) ma “primo” e “secondo” non intendono dire un’importanza maggiore o minore, ma un primato cronologico e direi ontologico (che riguarda, cioè, l’essere stesso dell’amore)! Insomma, Gesù insegna con autorità che se non si ama Dio l’amore per il prossimo avrà per forza dei limiti, delle barriere invalicabili! Senza un’autentica conoscenza-amore per Dio come sarebbe pensabile amare il non-amabile o addirittura il nemico?
Il Quarto Evangelo porterà alle estreme ragioni questo amore fraterno con l’«amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (cf. Gv 13,34-35). Il modello è ancora e sempre Gesù e il suo amore fino all’estremo per il Padre e per gli uomini.
In fondo, il testo di Marco non lo dice in modo esplicito, ma chi è che ha amato fino in fondo Dio con tutto il cuore, tutta l’anima e tutte le forze se non Gesù? Chi ha amato l’uomo fino all’estremo condividendo la sua vita e la sua morte se non Gesù? Allora mi pare di dover dire che alla fin fine il primo comandamento non è una legge scritta, un precetto codificato, il primo comandamento è l’uomo Gesù! Gesù è lo Shemà attuato perché Lui è la Parola detta dal Padre e ascoltata, Lui è l’innamorato del Padre con tutto se stesso, Lui è l’obbediente; ma Lui è anche l’amore del prossimo senza riserve perché Lui si è fatto prossimo di ogni uomo umiliato, sofferente e peccatore, prossimo di ogni “perduto”…
Sciogliamo questo testo dell’Evangelo da ogni tentazione moralistica e conduciamolo al suo vero alveo: ci si appressa al Regno quando si imbocca questa strada di Gesù, la strada che è Gesù! Lo Scriba non è lontano dal Regno, ma si potrà rendere conto che il Regno lo è andato a cercare nella ricerca di Gesù che gli si è fatto prossimo… Se saprà capire questo, lo Scriba potrà entrare davvero nel Regno! Comprendiamo allora perché i due comandamenti sono un solo comandamento: il principio di unificazione tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo è proprio in Gesù in cui Dio si è fatto prossimo!
Quando lo Scriba riconoscerà tutto questo, sarà giunto a lui ed in lui il Regno di Dio; in Gesù i due comandamenti si sono fatti uno e accogliere Gesù è accedere alla possibilità vera di vivere il comandamento dell’amore per Dio e per il prossimo. Poveri quei cristiani che postulano di scindere i due comandamenti!
Poveri quei cristiani che sono diventati uomini del “fare” incapaci di “perdere tempo” con Dio e per Dio, e che sono diventati dei filantropi senza memoria di Dio. Poveri quei cristiani che si vergognano di farsi vedere in preghiera a “perdere del tempo”, tempo che potrebbe essere impiegato a “fare” cose “utili”… Poveri ugualmente quei cristiani che pretendono d’essere tutto fervore per Dio e si chiudono in verticalismi disincarnati; poveri quei cristiani che pretendono di magnificare l’amore per Dio e di obliare contemporaneamente l’amore per la Chiesa, per l’uomo; poveri quei cristiani che dimenticano di essere discepoli di un Dio che si è fatto prossimo e che solo così e proprio così ci ha salvati!
Poveri quei “cristiani” così … e le “virgolette” dicono la realtà: non sono più cristiani! È così! È inutile fare giri di parole!
Padre Fabrizio Cristarella Orestano