7 Novembre 2021/ Anno B
1Re 17,10-16; Sal 145; Eb 9,24-28; Mc 12 38-44
Bisogna subito liberare il testo dell’Evangelo di oggi da ogni pessima aura di moralismo, da ogni tono di “bell’esempio”; non è una lezione sulla generosità, non un elogio di una donna povera, ma generosa! Non è un incitamento a fare beneficenza!
Che impoverimento dell’Evangelo sono letture di questo tipo!
In questa pagina del cosiddetto obolo della vedova ci sono per lo meno due cose che ci fanno capire che qui non si deve guardare al piano morale che non è quello che l’Evangelista vuole mettere in rilievo: la prima è che non c’è mai la parola “offerta” il che significa che non si tratta di mettere in risalto una generosità con i propri beni materiali, né tantomeno è in questione l’essere generosi con le istituzioni religiose; la seconda cosa è che le parole di Gesù che sottolineano il gesto della vedova sono introdotte da un solenne “Amen” (che in genere viene tradotto in italiano con “in verità”), modo questo di Gesù di introdurre discorsi o parole di alto profilo rivelativo; si tratta insomma di qualcosa di importante che Gesù sta per dire ed a cui bisogna prestare estrema attenzione.
Capiamo allora che non può trattarsi della lezioncina morale che scaturisce dal “bell’esempio”!
Nei versetti precedenti questo racconto Gesù mostra le perversioni della “religione”: la vanagloria, l’ipocrisia, l’avidità e, quando si presenta questa vedova, il suo sguardo si posa su qualcuno che, invece, gli rivela il volto che Lui stesso deve assumere dinanzi alla storia, il volto che deve assumere nella storia: il volto del dono di sé, «fino all’estremo» (Gv 13,1), senza nulla trattenere per sé.
Gesù invita a “guardarsi” dagli scribi vanagloriosi, ipocriti, e avidi (certo Gesù non fa di tutt’erbe un fascio: ci sono anche gli scribi onesti e la scorsa domenica Marco ce ne ha fatto incontrare uno!) e annunzia che la loro vita è insensata ed è sottoposta a dura condanna, la condanna di “chi vive per se stesso”, la condanna di chi crede di stringere tra le mani tesori e si ritrova solo sabbia che gli scivola tra le dita…bisogna guardarsi dal vivere per se stessi! Per questo Marco fa seguire una potente “parabola”. Non è però una parabola come le altre, non è un mirabile racconto fiorito dalla fantasia di Gesù, è una parabola in carne, ossa e… povertà!
La povera vedova è l’oggetto dello sguardo indagatore di Gesù che, in lei, ci propone non una parabola sulla generosità e neanche sulla fiducia in Dio e nella sua provvidenza, ma, nientedimeno, come parabola della croce verso la quale Lui sta per andare!
Marco fa dire a Gesù: «dalla sua povertà ha dato tutto quello che aveva. Ha gettato tutta la vita» (in greco è proprio così: ólon tòn bíon, “tutta la vita”).
La storia della vedova di Zarepta che abbiamo ascoltata nella prima lettura, tratta dal Primo libro dei Re, in fondo ci racconta una vicenda simile: quella povera donna getta tutta la vita, rischia in un modo che per le logiche umane è assolutamente insensato.
Il punto allora è, come sempre, il dono della vita senza riserve; nel passo di Marco di oggi, alla vigilia della passione, questa povera donna che prende dalla sua povertà il tutto che è e lo getta nel tesoro del Tempio, diventa parabola di Gesù che sta per fare proprio questo! Gesù sta per gettare la sua vita, è disposto a perderla per amore!
Possiamo senz’altro dire che la povera vedova anonima di questo racconto è profezia di Gesù ed è profezia per Gesù e, in seguito, sarà profezia per la Comunità di coloro che vorranno seguirlo! È per noi oggi profezia umile e potente!
Vedere il gesto di questa donna ha dato a Gesù la misura del gesto d’amore che Lui stesso sta per compiere; la Chiesa, a cui Marco consegna questo racconto, riceve in esso una parola che la invita a tuffarsi nel cuore dell’Evangelo di Gesù che è il dono totale di sé.
Ai discepoli, invischiati ancora nelle dispute sui primati (cf. Mc 10, 35-40), Gesù ancora una volta indica l’unica via identitaria che la Chiesa può avere: il dono totale di sé. Ecco la misura della loro vita fraterna, della loro vita ecclesiale!
Il testo, però, aggiunge ancora una cosa ed è una cosa impressionante: il Tempio, per il quale la vedova offre «tutta la vita», è un tempio corrotto e ormai prossimo a una distruzione disastrosa! Il dono della vedova, la sua vita gettata è una vita gettata, è una vita gettata per nulla, una vita gettata invano (per un tempio corrotto e alle soglie di una distruzione totale!).
C’è, però, ancora di più: il gesto della donna è profezia del gesto di Gesù: la croce è apparentemente inutile! È ignominia e fallimento agli occhi del mondo!
La vedova con questo suo gesto è uno scandalo, ma scandaloancora più grande sarà la croce di Gesù! Una morte assurda la sua, nell’abbandono più totale, un epilogo senza luce in cui Gesù sprofonda. Insomma, come ha scritto E. Cuvillier nel suo commento all’Evangelo di Marco, la croce è irrilevante per il mondo! È fallimento scandaloso e misero! Come la vedova anche Gesù si espone ad una “morte per nulla”!
Noi che leggiamo l’Evangelo sappiamo, ma nella fede, che da quella “morte per nulla”, da quell’assurdo insensato che è il Messia crocefisso, scaturirà vita autentica per moltitudini…
Intanto però si deve passare il buio tunnel dell’assurdo, del nulla, dell’assolutamente privo di senso per le logiche degli uomini.
Se ci pensiamo bene la morte di Gesù non ha nulla di “morale” in senso stretto (scrive sempre Cuvillier)… è una morte assurda e basta; la salvezza però verrà proprio da quell’assurdo, da quello scandalo!
La vedova dell’Evangelo di questa domenica ci fa intravedere, dietro di lei, un Altro che ha perduta, ha gettata tutta la sua vita perché altri la ricevessero in dono.
Che belli quei passi di questa povera che va verso il tesoro per gettarvi la vita… belli come i passi di Gesù che va verso il Getsemani, e da lì al Sinedrio e al Pretorio di Pilato e da lì al Golgotha… per il mondo passi stolti e insensati… ma Dio è in quei passi! Che straordinario paradosso!
P. Fabrizio Cristarella Orestano