TERZA DOMENICA DI QUARESIMA

20 Marzo 2022/ Anno C

Es 3,1-8.13-15; Sal 102; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9

            Possiamo dire che questa domenica sia la domenica dell’urgenza!

            È urgente volgersi verso Dio… è la domenica in cui si deve contemplare contemporaneamente e l’urgenza della conversione e la pazienza di Dio! Questa pazienza, lungi dal trasformarci in attendisti che di continuo rimandano le grandi decisioni di vita come le “piccole” decisioni di conversioni nel quotidiano, vuole invece far “bruciare” ancor di più far bruciare l’urgenza nei nostri cuori! È paradossale, ma la pazienza di Dio grida urgenza! Tutto questo però vuole una cosa essenziale: occhi aperti sulla storia!

            Leggere la storia è uno dei compiti più umani che ci siano; solo l’uomo è, infatti, capace di leggere il reale della sua storia e della storia del mondo che lo circonda, nessun altro vivente sa farlo… solo l’uomo… e Dio!

            Sì, Dio legge la storia, ne sente i gemiti, avverte il bruciante sapore delle lacrime, avverte l’acre odore del sangue… ne sente anche i sussulti di speranza e i trasalimenti di gioia… percepisce nella storia lo scoppiare dell’odio, ma anche lo sbocciare delle tenerezze dell’amore e della compassione. Il racconto della vocazione di Mosè, che oggi leggiamo dal Libro dell’Esodo, mette difronte Dio ed un uomo, Mosè, appunto… Dio che conosce la storia del suo popolo, la sa leggere, ne ha ascoltato il grido di dolore… che legge quella storia e trova per essa vie di salvezza; difronte a Lui l’uomo Mosè che, invece, è fuggito da quella storia in cui voleva intervenire a modo suo e che si è accomodato in una situazione di tranquillità senza più nessuna voglia di leggere la storia; di contro la lettura che Dio fa di quella storia del suo popolo in Egitto è una lettura “costosa” perché il testo fa dire a Dio: «Conosco le sue sofferenze» ed il verbo ebraico che l’autore usa (il verbo yadà) intende una conoscenza non intellettuale e meramente cognitiva ma una conoscenza esperienziale, che tocca, che scotta…

            Leggere la storia è leggere i segni dei tempi; Gesù, al capitolo precedente (12,56) ha chiamato ipocriti quelli che si rifiutano di leggere la storia; i segni non sono solo quelli che Lui, Gesù, dà con le sue parole e i suoi gesti, ci sono segni da leggere anche nella storia quotidiana; ci sono fatti in cui brilla incredibilmente una parola di Dio, in cui risuona un appello, in cui – come già dicevo – viene “gridata” un’urgenza!

            Nel passo di Luca di questa domenica, vengono riportati a Gesù due fatti di cronaca; l’uno prodotto da scelte dell’uomo (la rivolta di questo gruppo di zeloti galilei che Pilato ha sterminato senza pietà mentre offrivano sacrifici al Tempio), un altro prodotto dalla casualità o dalla natura (il crollo della Torre di Siloe che uccise degli operai che lavoravano alla costruzione del Tempio)… dinanzi a questi due fatti Gesù rifiuta l’interpretazione popolare semplicistica e perversamente “religiosa” per cui quelle morti sono dei castighi… un’interpretazione che non è una vera lettura dei segni dei tempi perché tiene fuori gli interpreti-lettori da quella vicenda; Gesù vuole, invece, che fatti come quelli vengano letti nell’ottica dell’urgenza della conversione! Questi fatti – su cui Gesù rifiuta di dare un giudizio moralistico – devono incitare a prendere sul serio la vita, a non perdere tempo, a rispondere agli appelli di Dio e soprattutto a quell’appello che è Gesù stesso con la sua vita, le sue scelte, la sua parola.

            Certamente il linguaggio che Luca pone sulle labbra di Gesù ha una sua ambiguità che va compresa e decodificata; escluso il rapporto di causa-effetto tra peccato e quegli eventi di cronaca, sembra poi che Gesù affermi che Dio punisca, però, quelli che non si convertono.

            La realtà è che Gesù qui si esprime come i profeti della Prima Alleanza; parla come quei profeti che dicono che l’esilio in Babilonia fu castigo per l’infedeltà del popolo; la verità è che chi non approfitta del tempo presente per volgersi di nuovo a Dio, per cambiare vita, non si libererà dal male che può accadere (cf. Sal 7,12-13; Sal 50,22). Il male viene non perché Dio castiga ma perché una mancata conversione fa precipitare in situazioni di debolezza e di errore e questo genera ingiustizie e dolori.

            Se la lettura non fosse questa, che senso avrebbe la parabola del fico sterile che Luca collega subito a questo detto di Gesù? Quello che la parabola vuole narrare è una situazione in cui non bisogna allegorizzare? Che voglio dire? Che non è detto che ogni elemento del racconto debba corrispondere ad un significato. Qualcuno, infatti, procedendo così, vorrebbe che il Padrone del campo fosse il Padre e il Servo buono Gesù… un’allegoria che non mi pare lecita… prima cosa perché non ci troviamo dinanzi ad un’allegoria, ma dinanzi ad una parabola, ma poi soprattutto perché una lettura del genere contrasta con la rivelazione che Gesù ci ha fatto del Padre! Non può essere che Gesù racconti una storia per dire di essere più buono e più paziente del Padre! La linea da seguire non è questa; se proprio si vogliono trovare delle corrispondenze mi pare che il Padrone, con il suo modo di ragionare e di parlare, rappresenti il sentire comune, il “buon senso” del mondo… il Servo è, invece, la logica di Dio, la logica dell’Evangelo, la rivelazione del vero volto di Dio. Per Gesù Dio non è un Dio crudele, padre-padrone che costringe gli uomini a seguirlo con la paura del castigo con cui è pronto a distruggere chi non gli obbedisce.

            La rivelazione di Gesù ci mostra, invece, un Dio che è Padre perché, come scriveva Fra’ Roger Schutz, «può solo amare»!

            Gesù ci racconta così un Dio paziente tanto da attendere frutti anche dal fico  delle “apparenze ostentate” (si evince che questo fico abbia solo belle foglie e nessun frutto: icona, dunque, di quegli “uomini religiosi” che sono uomini di sterili apparenze!); chi conosce un Dio così comprende che c’è un urgenza che preme e dinanzi a cui, se si è davvero discepoli di Gesù, non ci si può tirare indietro; non si butta, infatti, la vita in attese senza esiti, non ci si ferma impauriti dinanzi al Dio rivelato da Gesù che è un Dio così amoroso da essere capace aspettarci e di continuare a scommettere su di noi, dinanzi ad un Dio che si mostra disposto a “fare la sua parte” («gli zapperò intorno e vi metterò il concime», dice il servo della parabola) perché l’infruttuoso porti frutto, perché l’uomo delle apparenze trovi vie di autenticità e di conversione.

            Una certezza del genere è forza per continuare la lotta di questa nostra Quaresima!

P. Fabrizio Cristarella Orestano

La parabola del fico
Litografia dalla collezione di illustrazioni bibliche di Philip Medhrust