7 Marzo 2021/ Anno B
Es 20,1-17; Sal 18; 1Co 1, 22-25; Gv 2,13-25
Che bello questo Signore Gesù che entra nel Tempio con quella sferza di cordicelle costruita con le sue mani!
Che bello non perché viene a fare il moralizzatore, non perché viene Colui che dice alla Chiesa che non deve mischiarsi con mercanti e politici … è facile fare i soliti discorsi biecamente moralistici dinanzi a questa celebre scena.
Ci troviamo, invece, dinanzi ad un racconto rivelativo di un volto e di una misericordia.
È rivelativo del volto del Figlio (Gesù dice: «La casa del Padre mio»!), rivelativo di chi sia davvero il Profeta di Nazareth: è il Figlio venuto nel mondo, è rivelativo di cosa il Figlio sia venuto a compiere… infatti per Giovanni questa scena è chiara: Gesù, nel Tempio scaccia i mercanti di animali per i sacrifici e scaccia i cambiavalute che cambiano il danaro corrente (impuro per il Tempio perché portava impressa l’immagine dell’Imperatore, e la Torah vietava le immagini!), con valuta “pura” del Tempio per acquistare gli animali da offrire in sacrificio. Perché Giovanni sottolinea questa precisa azione e finalità di Gesù? Ci ha detto che è Pasqua (la prima delle tre che ci mostrerà nella vicenda di Gesù) e Gesù sta preparando la sua Pasqua, quella che compirà alla fine dell’Evangelo e di nuovo a Gerusalemme; Lui è il solo vero agnello, non c’è più bisogno di vittime animali. Nella terza Pasqua, il 14 di Nisan dell’anno 30, il Quarto Evangelo ci tiene a sottolineare che Gesù verrà inchiodato alla croce mentre gli agnelli pasquali sono immolati nel Tempio…
Un gesto allora che rivela l’identità di Figlio di Dio venuto a dare la vita come agnello muto (cf. Is 53,7), ma eloquente del vero volto di Dio.
Questo racconto, però, ci spalanca anche la misericordia… Perché? Gesù è Colui che viene a sgombrare dai nostri cuori, dalle nostre vite, tutto ciò che ostacola l’Evangelo… dobbiamo dircelo: in noi lo spazio che spetta a Dio è troppo ingombro di cose, di pensieri, di desideri, di possessi che tolgono spazio a Dio e ci rendono incapaci di essere liberi!
La Quaresima è tempo di deserto e di essenzialità! È tempo, dunque, di chiedere a Cristo Gesù di venire con la sua sferza misericordiosa a togliere da noi quello che si oppone alla nostra libertà di figli, alla nostra condizione di salvati, alla nostra esistenza pasquale.
Nella Prima lettura abbiamo in questa domenica si ascolta il Decalogo, impropriamente detto “I dieci comandamenti” da noi cristiani che lo abbiamo interpretato semplicisticamente solo come legge morale, come codice comportamentale… in questo testo dell’Esodo c’è invece ancora una pagina di straordinaria rivelazione; infatti il Decalogo inizia con una premessa che spesso saltiamo a piè pari eliminando così dal testo ciò che è più necessario alla sua comprensione: «Io sono il Signore tuo Dio che ti ho liberato dall’Egitto»… a questa espressione seguono le “Dieci parole” ed è come se si dicesse: «poiché, dunque, ti ho liberato, ti ho reso capace di…» e proprio così sono formulate le “Dieci Parole” che così non risultano più dei “comandi” (la forma verbale ebraica non va tradotta con un imperativo) ma delle dichiarazioni di possibilità, delle dichiarazioni di futuro se si cammina davvero nella libertà che Dio ha donato. Sono appunto Dieci Parole che il Signore pronunzia sul popolo. Insomma il Decalogo dichiara una infinita possibilità, quella di dare seguito alla libertà: «Poiché ti ho liberato ti ho reso capace di riconoscermi come Dio unico, di non usare il mio nome per i tuoi scopi, di dare tempo alla tua vita e alla mia presenza nella tua esistenza (il sabato, la memoria delle feste!), ti ho reso capace di riconoscere il peso che hanno le tue radici senza fartene imprigionare (i genitori), ti ho reso capace di amare la vita e di non sprecarla (l’uccidere), ti ho reso capace di non rubare, di non tradire l’amore (l’adulterio), di non attentare a ciò che il tuo prossimo possiede neanche col desiderio colmo d’invidia».
Triste cosa sarebbe essere stati liberati e andarsi poi a rigettare nella schiavitù, triste cosa sarebbe non accogliere la possibilità di vita che l’opera di Dio compie per noi!
Sulla traccia del Decalogo la rivelazione cristiana ci presenta il mistero pasquale di Gesù che ci ha posti in una condizione tale di libertà da renderci capaci, come Cristo Gesù, di amore fino all’estremo!
La Quaresima è tempo in cui chiedere al Signore, che tutto si è dato per noi, di venire con risolutezza a sferzare ed eliminare tutto l’ingombro che ci fa schiavi e in-capaci di libertà e di amore. È necessaria la crocifissione dell’uomo vecchio! C’è poco da fare!
Certo, quella dell’uomo vecchio è una morte, ma una morte che non resta morte; se il vecchio “tempio” elevato da noi a noi stesi sarà distrutto, con Cristo risorgerà un tempio nuovo in cui Dio sarà davvero l’unico Signore!
Questo tempio nuovo siamo ciascuno di noi ma anche tutti noi assieme come fratelli abitati dall’amore del Crocefisso e resi capaci da quell’amore di quello stesso amore…Gesù stesso l’ha detto ai suoi nell’ultima sera trascorsa con loro; il mandatum novum contempla infatti la possibilità concretissima data ai discepoli di scegliere di amarsi di quello stesso amore che Gesù incarnerà fino alla Croce. La Chiesa può e deve essere segno luminoso della Pasqua, della presenza e dell’amore di Dio. Diversamente non è più neanche Chiesa di Cristo!
In un suo verso Eugenio Montale scriveva: «Accaddero fatti degni di storia, ma indegni di memoria» (E. Montale: Di un gatto sperduto in Quaderno di quattro anni, 1977). La Chiesa, invece, dovrebbe essere sempre degna della memoria di Dio, cioè della vera storia, quella segnata nel libro della vita (cf. Ap 20,15).
P. Fabrizio Cristarella Orestano