1 Maggio 2022/ Anno C
At 5,27-32.40.41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19
Pagina carica di suggestioni e di luce questo capitolo ventunesimo dell’Evangelo di Giovanni che in questa domenica risuona nelle nostre assemblee.
Inizia tutto in una notte infeconda che si apre ad un’alba in cui si fa chiara una presenza: «All’alba Gesù stette sulla riva»; è proprio come avvenne nel cenacolo “a porte chiuse”: i discepoli devono accorgersi che Gesù sta nella sua Chiesa … nel capitolo venti Gesù li va a cercare nelle loro “porte chiuse”, qui nella loro notte infeconda.
Questi capitoli del Quarto Evangelo hanno chiaramente in intento, certo pasquale e testimoniale dell’evento della Risurrezione del Crocefisso, ma hanno anche – e forse soprattutto – l’intento di affermare con forza ai credenti che Cristo Risorto è presente nella Chiesa; Egli sta lì dove sono i suoi e li incontra e li salva con la potenza della sua Pasqua lì dove essi si dibattono con le loro paure, le loro incredulità, le loro notti, le loro infecondità, i loro “poveri” amori.
Capitolo complesso questo capitolo ventunesimo di Giovanni, con una sua lunga storia di formazione e di tradizione, ma oggi qui questo importa poco; infatti, siamo chiamati a coglierne, nel suo risuonare nella liturgia, non le complesse motivazioni, ma la Parola che esso vuole comunicare alle nostre esistenze di credenti che si “giocano” la vita sulla Pasqua di Gesù!
La testimonianza pasquale della Chiesa, ci dice questa pagina di Giovanni, sarà credibile solo nell’ amore il quale esaurisce, e deve esaurire, tutte le dinamiche all’interno della comunità di Gesù.
Nelle notti infeconde solo l’amore può riconoscere il Signore presente: l’amore da cui ci si riconosce amati che diviene scaturigine di amore per il Signore e per il mondo … il Discepolo amato riconosce il Risorto che sta sulla riva di quel loro lago … lui grida la verità della sua presenza; «amati amiamo» (1Gv 4,11.19), scriverà l’autore della Prima Lettera di Giovanni! È vero! Solo chi ha sperimentato l’amore su di sé riesce a credere all’amore anche nelle notti buie e senza frutti … solo chi è capace di sentire su di sé quell’amore può trasformarsi in “grido” di Evangelo per chi è schiacciato dal peccato, dalla paura, dalla notte: «È il Signore!». È quel grido dell’amato che induce Pietro a gettarsi nella storia per incontrare l’Amante, il Vivente capace di dire parole di vita a chi sperimenta la morte: «in quella notte non presero nulla»!
Nel passo di Atti, che oggi leggiamo quale prima lettura, Pietro e gli altri apostoli hanno la capacità di testimoniare senza paura la Pasqua di Gesù … ne pagano le conseguenze … si consegnano al mondo per amore del mondo e per amore del nome di Gesù.
Quando si vive di questo amore del nome di Gesù si affronta la notte della persecuzione come la notte dell’infecondità; si è lieti di una letizia non è mondana («lieti di essere stati oltraggiati»); ci si gioca tutto su quella presenza che fa sorgere l’alba nelle notti della Chiesa come nelle notti della storia. Una presenza che chiede l’amore come unum necessarium per stare nel mondo in modo significativo. E dico significativo nel senso stretto del termine: non nel senso di avere peso per il mondo, avere una dignità ed un ruolo riconosciuti e magari applauditi, ma nel senso di avere realmente la capacità di significare Gesù ed il suo amore nella storia!
O la Chiesa significa Cristo o smarrisce il suo ruolo e verrà posta dagli uomini tra gli enti di gestione e di potere, di “significanza mondana” che desidera preminenze … e non racconterà più Cristo! Chi cerca Dio non troverà la via perché quella via si è resa irriconoscibile; una via, infatti, per essere percorsa non può essere ingombra di costruzioni mastodontiche e mondane, deve essere libera, vasta, chiara! La Chiesa sarà una via così solo grazie all’agàpe … solo grazie all’amore che è primato di Cristo nella sua vita! È quanto Gesù chiede a Pietro: un amore che dia a Lui un vero primato: «Mi ami tu più di tutto?» (toùton può essere anche neutro ed in tal caso indicherebbe non gli altri discepoli con cui Pietro viene messo in comparazione, ma le cose, tutto il resto: «Mi ami tu più di tutto?»; possiamo tradurre così invece di tradurre «Mi ami tu più di costore?»).
Insomma, Gesù qui non vuole tanto dare un primato a Pietro chiedendo se Pietro lo ama di più degli altri (tra questi altri c’è anche il Discepolo amato e mi pare per lo meno improbabile che l’autore di questo capitolo voglia poter subordinare il Discepolo amato a Pietro nell’amore!), ma vuole sapere se nel cuore di Pietro Lui ha un vero primato! Vuole sapere se Pietro ama Lui prima e più di tutte le cose, più di tutto…solo se è così Pietro può pascere e guidare i fratelli in qualunque modo essi siano; per parlare del gregge affidato a Pietro l’Evangelo usa due parole: “agnelli”, “pecore”,… cioè i piccoli, i grandi, i deboli … tutti devono essere nutriti e guidati dall’amore di Pietro e della Chiesa.
Pietro sarà capace di tanto, fino a dare la vita, se si consegnerà, tendendo le mani, per obbedire a quell’amore che ha assoluto primato nella sua vita e che sempre più dovrà prendere spazio. Se parte da un voler bene (verbo philéo) dovrà giungere davvero all’amore (verbo agapáo). La via? Una sola: amare consegnando la propria vita ai fratelli; pascendo e guidando Pietro (come la Chiesa) imparerà l’amore, imparerà quell’amore per cui Gesù diede la vita!
Quando la Chiesa coglie questa dinamica, al suo interno e nelle sue relazioni con il mondo, racconta alla storia il Cristo che è l’unica narrazione di Dio!
Non abbia paura delle notti e dei tradimenti perché Cristo è sulle sue rive e fa diventare alba ogni notte con la sua presenza. Chi coglie il Cristo vivente e presente, ed è disposto a seguirlo, sarà nella storia sentinella pasquale che annunzia albe nuove di speranza lì dove pare che la notte sia incombente, immobilizzante e senza sbocchi. E quanto in questi ultimi due anni la storia ci è parsa così: dalla pandemia alla guerra, alle incertezze e instabilità che spaventano … e quanto anche nella Chiesa tutto pare vacillare (o vacilla davvero) sotto il peso degli scandali, delle riduzioni e delle lacerazioni interne!
La Pasqua vuole riempire di speranza la storia degli uomini e questo può farlo solo attraverso noi credenti, attraverso il nostro amore umile, ma compromesso con quello di Gesù. L’opera pasquale può essere compiuta solo da chi, come scrive Benedetto nella sua Regola, «nulla antepone all’amore di Cristo» (RB IV,21). Così, come il Discepolo amato sapremo gridare: «È il Signore!»; così, come Pietro sapremo imparare sempre di più l’amore fino all’autoconsegna! Così la Chiesa significherà Cristo crocefisso e risorto nelle notti della storia.
E quanto questo oggi è davvero necessario!
P. Fabrizio Cristarella Orestano