22 Gennaio 2023/ Anno A
Is 8,2 –9,2; Sal 26: 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23
Al battesimo al Giordano e all’esperienza della tentazione nel deserto, Matteo fa seguire un altro evento di salvezza essenziale nell’evangelo: l’inizio della predicazione di Gesù. Egli inizia ad annunziare (il verbo utilizzato è kerýssein), proclamando il Regno che è venuto a portare nella storia in modo definitivo: «Il regno dei cieli è vicino».
Se già Israele aveva atteso questo regnare di Dio nella storia e nei cuori degli uomini, ora Gesù annunzia che il Regno è vicino, portando a pieno compimento le parole di profezia del Libro di Isaia, che Matteo puntualmente cita: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla riva del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Mentre, però, le parole del profeta si riferivano alla rinascita di un popolo ridotto a non-popolo (il riferimento è alle popolazioni appartenenti alle tribù di Zàbulon e di Nèftali, che erano state umiliate e deportate in Assiria), la liberazione che Matteo collega a quell’oracolo è una liberazione che si colloca su di un piano teologico: «Convertitevi», ossia «Ritornate a Dio»! La rinascita che la luce dell’evangelo di Gesù porta in quelle stesse terre provoca la novità di vita in alcuni uomini galilei (dei pescatori), che vengono alla luce come pescatori di uomini, cioè come discepoli di Gesù, annunziatore e dimora stessa del Regno!
Anche se colta in una prospettiva diversa da quella dell’antica profezia di Israele, la salvezza annunciata da Gesù resta qualcosa di estremamente concreto, giacché si mostra immediatamente nelle vite di questi uomini, che hanno dei nomiprecisi, vale a dire una loro particolarissima identità.
A differenza di Luca e Giovanni – i quali, nei loro racconti, pongono le prime chiamate dopo eventi o parole significativi (per Luca, una pesca miracolosa, cf. Lc 5,1-11; per Giovanni, le parole del Battista e la sua testimonianza, cf. Gv 1,29-37), per Marco e per Matteo la chiamata di Gesù è come l’irrompere improvviso di una luce che non vuole dilazioni, che chiede un “sì” immediato, generoso e senza domande. La stessa parola di promessa che Gesù rivolge a Pietro e ad Andrea («Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini») è una parola ambigua e senza alcun precedente nella tradizione ebraica che potesse renderla chiara: essere “pescatori di uomini” non è una promessa di ricompensa, non specifica vie di un possibile percorso o mete da raggiungere, non dà nessuna assicurazione sul futuro.
L’essere “pescatori di uomini” trova il suo senso unicamente nella personale relazione con Gesù e nella sequela di Lui: è l’andare dietro di Lui a rendere possibile e a dare senso a quell’essere pescatori in modo così nuovo. Solo chi sia disposto a stare davvero dietro a Gesù potrà sperimentare la potenza di quella promessa e ai quattro (come a ciascun chiamato dopo di loro) non resta che rispondere con la medesima logica, senza valutare pro o contro (sarebbe impossibile!), senza fare domande e senza chiedere assicurazioni, ma semplicemente lasciando tutto, per seguire Gesù. E così l’evangelo grida un’esigenza: il non pretendere di capire tutto e subito davanti al Signore che chiama; il lasciarsi afferrare dalla luce per seguire la luce, fidandosi della luce.
Dietro il domandare e l’indugiare vi sono, di solito, calcoli e metri di giudizio che lasciano l’uomo raggelato, in un immobilismo che pietrifica: tanti rimangono con le loro reti e le loro barche, con i loro progetti e i loro affetti lì sulla spiaggia, incapaci di volgere lo sguardo a quell’ulteriore, che Gesù solo può indicare.
Stare con Gesù significa andare verso un ignoto che può fare certamente paura, ma che è possibile attraversare nella fiducia che in quell’ignoto Lui è presente. La sequela entusiastica dei discepoli al lago dovrà però trasformarsi in un rimanere che non si stanca, che non si tira indietro: essa dovrà passare per le domande, per le incapacità a comprendere, per le viltà, per le paure, per l’ora buia della croce. Ma solo quando si sarà attraversata l’opacità del proprio cuore (questo è il vero “ignoto” che attende il discepolo di Cristo) e in essa si sarà sperimentata la liberazione che viene dalla potente debolezza del Crocifisso, sarà possibile restare con Lui e in Lui ed essere, davvero e per sempre, pescatori di uomini fino ai confini del mondo.
P. Gianpiero Tavolaro