12 Febbraio 2023/ Anno A
Sir 15,15-20; Sal 118; 1Cor 2 6-10; Mt 5,17-37
Al cuore della lunga pagina del cosiddetto “Discorso della montagna” dell’Evangelo di Matteo è l’esigenza di una giustizia che deve andare oltre quella degli scribi e dei farisei: è questo il “compimento”, la “pienezza”, verso cui deve tendere ogni credente, che – come risulta dalla pagina delle beatitudini, con cui si apre il discorso diGesù – è chiamato a realizzare una umanità nuova che lo renda sale e luce per dare al mondo sapore e luce.
La pienezza che Gesù indica non è, tuttavia, “senza la Legge” o, peggio ancora, “contro la Legge”: in realtà, per Gesù è chiaro nell’affermare che nella Legge ricevuta e custodita da Israele c’è già tutto, ma quel contenuto va condotto a un compimento, il cui conseguimento dipende dalla disponibilità a non fermarsi alla giustizia “farisaica”, la quale si accontentava di osservare i precetti della Legge, obbedendo alla loro lettera.
Gesù non propone una abolizione di quei precetti, ma chiede ai suoi di entrare in quei precetti, per scoprirne il cuore! Vi è un cuore di quei precetti ed è questo che va riconosciuto, assunto e vissuto: fermarsi all’esterno (alla lettera) di quei precetti è renderli sterili.
È in questo senso che Gesù parla di sei compimenti a cui bisogna puntare (in questa domenica la liturgia invita ad ascoltare i primi quattro, mentre nella prossima domenica si ascolteranno gli ultimi due).
Il «Ma io vi dico» che, per ben sei volte, risuona sulle labbra di Gesù non significa, dunque, un rifiuto dell’ebraismo e dei suoi precetti (d’altro canto, al versetto 17, Gesù dichiara, senza possibilità alcuna di equivoco, «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento!»), ma neppure indica un “irrigidimento” della Legge, attraverso la condanna non solo delle azioni, ma anche delle intenzioni.
Se Gesù guarda al cuore – e invita i suoi ad andare in questa medesima direzione –, è perché solo in questo modo la Legge può compiersi e questo può avvenire solo quando non ci si limita a osservare delle norme, ma si fanno vivere le logiche di Dio nel profondo di sé, conferendo una piena unità al sentire, al tendere e all’agire.
E così la Legge mostra il suo cuore quando tocca e trasforma davvero il cuore (e non solo l’agire) di chi la assume. In ciò risiede un “evangelo”, una buona notizia, perché viene annunciato all’uomo quanto egli è ormai reso capace di vivere: una obbedienza alla Legge che non ha i tratti di una schiavitù subita, ma quelli di una libertà assunta. Se la “legge” non è nel cuore – in un profondo, cioè, trasformato da Dio – si potranno anche osservare i singoli precetti, ma da schiavi e non da uomini veri; forse si osserveranno per paura o per viltà e non perché il proprio profondo è trasformato dalla novità dell’uomo nuovo che è Gesù.
In Gesù, l’uomo nuovo è libero dalle catene di una legge solo esteriore, secondo quanto gli stessi profeti avevano preannunciato (cf. Ger 31,33 ed Ez 11,19-21): Gesù compie la Legge, portando a compimento la promessa dei profeti e indicando all’uomo quella fonte interiore del sentire e dell’agire (il cuore, appunto), che è plasmata da Dio stesso e che, nell’incontro con la Legge esterna, non fa che comprendere dov’è rispetto alle esigenze di “assimilazione” a Lui.
Nel primo tratto del suo discorso, Gesù esamina tutto il mondo delle relazioni che fanno l’esistenza dell’uomo (dal rispetto della vita, alla relazione di coppia – sia nel tradimento dell’adulterio che nel fallimento del divorzio), fino al rispetto per il parlare, che deve essere sempre espressione della trasparenza del cuore e mai nascondimento della verità del cuore: rispetto alla possibilità di vivere in modo “scisso” e “frammentato” le proprie relazioni, Gesù annuncia che si può vivere con un cuore unificato, ossia con il cuore delle beatitudini, che è il suo stesso cuore.
È questa la giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei: è qui che l’amore, a un tempo libero e obbediente, si rivela compimento della Legge (cf. Rm 13,10).
P. Gianpiero Tavolaro