SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA

5 Marzo 2023/ Anno A

Gen 12,1-4a; Sal 32; 2Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9

Se nella prima domenica di Quaresima Gesù, tentato nel deserto, si mostra come colui che lotta nella lotta degli uomini, nella seconda domenica, trasfigurato sul monte, si presenta come l’esito stesso dell’umano combattere.

Matteo è attento a sottolineare che il volto di Gesù «brillò come il sole e che le sue vesti divennero candide come la luce»: quel volto e quelle vesti sono promessa di luce per ogni uomo, condannato a restare prigioniero delle tenebre al di fuori di lui: «alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35,10).

Tutto ciò, però, non rende la Trasfigurazione un momento di “trionfo” di Gesù, il quale sempre, nell’evangelo, rifugge ogni forma di trionfo terreno, tanto che già nel deserto – quando Satana gli aveva suggerito di mettere alla prova Dio gettandosi dal pinnacolo del Tempio – egli ha riconosciuto come “tentazione” la possibilità di rinnegare la kenosi in nome di un messianismo trionfalistico e presuntuosamente “potente”.

La Trasfigurazione è, in profondità, un mistero di rivelazione, nel quale viene svelata all’uomo la sua vocazione, che è vocazione di una luce, che si riceve definitivamente in Cristo: è Lui la benedizione promessa a tutte le genti; è Lui, figlio di Abramo e Figlio di Dio, l’adempimento dell’antica promessa fatta ad Abramo nell’ora della sua prima chiamata: «Vattene dalla tua terra… in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,1.3).

Questa luce, questa benedizione, questa bellezza sono tutte in un uomo: l’uomo Gesù. È nella sua umanità che splende Dio; è in essa che è narrato Dio ed è consegnata la sua luce. Se, come scrive Paolo, «Dio abita una luce inaccessibile» (1Tm 6,16), sul monte della Trasfigurazione quella luce si rende accessibile all’umanità, splendendo nell’uomo Gesù.

Di fronte a tanta bellezza, il rischio – al quale, come è accaduto a Pietro, si può facilmente cedere – è quello di fermarsi al livello emozionale, volendo quasi fermare una tale esperienza: «Signore, è bello per noi stare qui! Se vuoi, farò qui tre capanne…». La bellezza promessa non intende essere estraniamento, fuga dalla storia e dal “brutto” della storia, che è il dolore.

La Trasfigurazione, in quanto annuncio del Regno e della sua bellezza, non può consentire che ci si chiuda nella sicurezza delle proprie “capanne”: il Regno attraversa la storia e deve portare la luce di Dio al cuore del dolore del mondo.

Scendere dal monte per andare a Gerusalemme ha proprio questo significato: portare la bellezza del Regno al cuore della passione di Gesù, ma anche di ogni uomo! E come Gesù mai ha inteso sottrarsi a questo annuncio, qualunque prezzo esso abbia richiesto, così è chiamato a fare ogni suo discepolo: quando, allora, la voce dalla nube dichiara «Questi è il Figlio mio, l’amato, in cui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo», essa addita in Gesù la via da seguire, non solo perché le sue parole contengono tutto quanto è “necessario” al conseguimento di quella luce che tanto attrae l’uomo, ma anche perché egli è il modo “paradossale” nel quale non tirarsi fuori dalla luce, in una penombra che sa già di morte.

Si è luce se, come Gesù, si è in grado di attraversare le tenebre, senza cedere alla tentazione di credere che le tenebre siano più forti. Gesù è, in tal senso, una “parola dura” da accogliere e da vivere: per questo, scendendo dal monte, i tre si sentono dire che non si può parlare di quella luce «prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti», prima, cioè, che abbia portato quella luce di bellezza fino al cuore del dolore e della morte e abbia, così, consentito all’uomo di fare esperienza, nella fede, della potenza del suo amore “debole”.

 Alla fine del racconto, Matteo dice che i tre discepoli «alzando gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù solo»: lungo il cammino verso Gerusalemme, resta solo Gesù ed è questo Gesù quotidiano, per così dire ordinario, che bisogna ascoltare con coraggio.

Il “monte” non è il quotidiano ed è Gesù che bisogna avere il coraggio di seguire per strade che devono attraversare il dolore e la morte.

Come i tre discepoli, ogni altro discepolo è chiamato ad andare all’ordinario, per portare il Regno al cuore del mondo.

P. Gianpiero Tavolaro

La trasfigurazione (Icona copta)