19 Maggio 2022/ Anno C
Gen 14,18-20; Sal 109; 1Cor 11,23-26; Lc 9,11-17
Ancora una solennità, direi, “riassuntiva”; come quella della scorsa domenica della Santissima Trinità: il mistero pasquale riposa su un’origine che è l’amore trinitario, la comunione trinitaria e provoca l’uomo, nella storia, alla comunione fraterna in un amore sempre più ad immagine di quell’amore eterno che Gesù ci ha narrato.
Oggi la solennità del Corpus Domini ci mostra nell’Eucaristia il principio di trasfigurazione del mondo. Quel pane e quel vino, materie brute, diventano il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio; è il creato che si incammina verso la divinizzazione ed i discepoli di Cristo, nutrendosi di quello stesso Corpo e di quello stesso Sangue, permettono a Dio di trasformarli sempre più, permettono a Dio di essere per loro pane nel duro cammino della storia, bevanda che toglie la sete nel grande “esodo” verso l’uomo nuovo.
Non a caso Luca, nel suo racconto della moltiplicazione dei pani, registra alcuni particolari sottilmente allusivi all’Esodo: il luogo è deserto, la gente si accampa a gruppetti, i villaggi sono distanti … nel giudaismo contemporaneo agli evangeli era chiara un’idea: il Messia avrebbe rinnovato le meraviglie dell’Esodo; ecco che Luca mostrandoci questi elementi di richiamo ci offre un racconto “rivelativo” su Gesù. E’ il Messia, l’inizio di un esodo definitivo; qualche pagina prima, nel racconto della Trasfigurazione, Luca (lui solo tra gli evangelisti) aveva scritto che Gesù sul monte discorreva con Mosè ed Elia «dell’esodo che avrebbe compiuto a Gerusalemme» (cf. Lc 9,31); ed ora eccolo nel deserto a sfamare il popolo stanco; Luca però non si accontenta di questo aspetto “rivelativo” circa il Gesù della storia, Luca ha chiaro che quel Gesù della storia è ancora vivente ed operante non nonostante la sua Croce e Risurrezione, ma proprio grazie ed esse; è presente come il Risorto vivente nella sua Chiesa. Il Signore è ancora alla mensa della Comunità dei discepoli e continua a mostrare i “prodigi” dell’Esodo (ma dell’Esodo “nuovo”, cioè “ultimo”) dando da mangiare ai suoi il pane spezzato del suo Corpo ed offrendo loro il calice dell’obbedienza nell’amore, il calice del suo Sangue.
Luca sottolinea che il giorno stava declinando e irresistibilmente siamo condotti a quella pagina amatissima dei due di Emmaus in cui, mentre «il giorno volge al declino» (la nuova traduzione ha tolto poesia dicendo «il giorno già tramonta») i due pellegrini dicono al Risorto: «Resta con noi…».
Nel racconto di Luca della moltiplicazione dei pani pare quasi che quelle folle sulla riva del lago facciano senza parole quella stessa preghiera; non vanno via, restano perché vogliono che Gesù resti; e Lui è rimasto per loro e poi, Luca lo sa, è rimasto per la sua Chiesa, per sempre; e lo sappiamo anche noi dopo duemila anni di vita della Chiesa in cui l’Eucaristia è stata luogo di speranza, di forza, di amore, di vita per tutte le Chiese, in tutte le ore…
L’Eucaristia pare solo “prodotta” dalla Chiesa, in realtà l’Eucaristia è l’alveo santissimo, il grembo benedetto in cui la Chiesa è fatta, in cui la Chiesa cresce, in cui la Chiesa trova forza per camminare verso il Regno e per resistere alla mondanità.
Una Chiesa che non cresce, una Chiesa che cede alle lusinghe del mondo, una Chiesa immobile nei suoi pretesi possessi è una Chiesa che celebra il rito dell’Eucaristia, ma non lo vive, è una Chiesa che si nutre di “cerimonie” e non permette al Risorto di trasformarla e vivificarla, una Chiesa che forse in questo giorno del Corpus Domini potrà portare per le strade il pane eucaristico, vero Corpo del Signore, ma non porta per le strade della storia l’unica cosa che invece dovrebbe mostrare: la comunione fraterna, l’amore che genera amore secondo il comandamento definitivo del Signore: «Vi do un un ultimo compito: amatevi gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» (cf. Gv 13,34-35)! Ancora troppa “religione” nelle nostre pur ormai boccheggianti “comunità”, ci si illude ancora che incoraggiando e ripresentando le consuete pratiche di pietà popolare si giunga a qualcosa per l’Evangelo. Qualcuno ha detto “Non togliamo anche questo!”, in realtà si dovrebbe sorvolare su quello che è inutile per il Regno e dare forze ed energie a ciò che davvero conta per il Regno di Dio: evangelizzare e creare ver comunità fraterne che lottano per viveri in verità il Mandatum novum.
La solennità del Corpus Domini è allora ancora provocazione alla nostra vita di Chiesa; non è un giorno per guardare “fuori” e magari rimproverare i cristiani che non vanno a Messa! E come potrebbero se non sono davvero evangelizzati, se non hanno incontrato delle vere comunità che «annunciano la morte del Signore finché egli venga» (1Cor 11,26)? La Solennità del Corpus Domini è un giorno per guardare “dentro”, per guardare a noi che celebriamo l’Eucaristia, che ci inginocchiamo davanti a quel pane fatto Corpo del Signore … che ne facciamo di questo dono? Come dice l’Apostolo annunziamo davvero «la morte del Signore finché egli venga»?
Portiamo alle estreme conseguenze quel comando di Gesù di fare questo in memoria di Lui? Facciamo, cioè, ciò che Lui fece amando e donandosi tutto? È questa la nostra autentica tensione? Se non siamo in questa tensione nessun esodo sarà possibile … se siamo uomini e donne inchiodati a terra nei nostri “egitti”, imprigionati in terre di dorate schiavitù, magari in terre di pratiche solo e semplicemente “religiose”, come potremo essere al seguito di Gesù che con la sua Pasqua ha aperto l’esodo dell’umanità verso una nuova umanità?
L’Eucaristia “svecchia” … se rimaniamo “vecchi” questo è segno solo di una cosa: abbiamo trasformato tragicamente l’Eucaristia in un idolo! È terribile, ma noi possiamo essere capaci perfino di questo!
P. Fabrizio Cristarella Orestano