SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

11 Giugno 2023/ Anno A

Dt 8,2-3.14-16; Sal 147; 1Cor10,16-17; Gv 6,51-58

Se lo Spirito effuso a Pentecoste conduce il credente a una comprensione più profonda e più piena del mistero di Dio, conosciuto come comunità di persone, è ancora nella potenza dello Spirito che si realizza quel dono pasquale che è l’eucaristia, nella quale tutti i misteri cristiani, dall’Incarnazione alla Pentecoste, diventano doni attuali, tangibili, fruibili, che l’uomo può incontrare nel proprio oggi.

È nella realtà del Corpo e del Sangue del Signore Gesù, infatti, che il Padre fa sperimentare all’uomo di ogni luogo e di ogni tempo di amare il mondo tanto da dare il suo Figlio (cf. Gv 3,16): in tal senso, l’eucaristia consegna una memoria viva e costante di ciò che l’amore di Dio ha fatto per noi e, nel consegnarla, riempie di quell’amore stesso.

In linea con la tradizione veterotestamentaria, codificata in maniera sinteticamente efficace nel libro del Deuteronomio (cf. Dt 8,2-3.14-16), il cuore della fede è un ascolto che deve costantemente versarsi nella memoria di Dio e delle sue opere di salvezza: l’ascolto nutre la memoria, dandole quel contenuto salvifico che può orientare l’oggi verso un futuro nel quale si ha la certa speranza che Dio non verrà meno; a sua volta, però, la memoria dà all’ascolto la forza del desiderio, perché immette nell’intimo del credente la sete di quella vita che Dio ha promesso all’uomo e che di continuo gli dona, spezzando le catene di morte dalle quali l’uomo si lascia di continuo avviluppare. 

Chi fa memoria del passaggio di Dio nella propria vita, chi ne ricorda le parole cariche di promessa, desidera e incontra un Dio che non mortifica, ma desidera il desiderio! L’eucaristia è dono di grazia che fiorisce dall’ascolto di Cristo e dalla memoria di Lui: il suo Corpo e il suo Sangue sono memoria del suo amore per l’uomo e, in forza di ciò, diventano per ciascuno luogo di comunione con Lui e con i fratelli.

La memoriadell’amore di Cristo chiede comunione: essa non può tradursi, unicamente, nella meccanica ripetizione di un atto di culto; fare comunione al corpo e al sangue di Cristo è lasciare che la propria vita sia plasmata dalla sua vita.

Il proprio corpo è dato da Gesù quale segno della sua vita concreta e riporta alla vita concreta: la vita dell’uomo si esprime, infatti, in un corpo che vive, agisce, gioisce, patisce. «Questo è il mio corpo» significa: “Questa è la mia vita”. E con quella vita offerta Gesù ci chiede di fare comunione, come chiede comunione con il calice del suo Sangue, che è il calice dell’offerta della sua vita!

L’Eucaristia domanda di essere offerta fino all’estremo, fino alla morte: essa non è realtà tenue e inoffensiva, ma è fuoco divorante che chiede vita e morte con Cristo, per Cristo e in Cristo.

Nel Quarto evangelo Gesù proclama che «colui che mangia me vivrà per me» (6,57): vivere per Lui non può significare altro che vivere in forza di Lui, destinati a Lui e come Lui!

L’Eucaristia è il donarsi di Cristo che domanda a ciascuno di entrare nella logica del dono, attraverso l’accoglienza del dono e il dono di sé: essa è il banchetto in cui i fratelli si ritrovano con Lui in una comunione radicale per annunziare comunione a un mondo lacerato da infinite divisioni.

Un’assemblea di divisi (in sé stessi e tra loro) non può celebrare un’Eucaristia che sia realmente ciò che Cristo ha desiderato: l’Eucaristia quella comunionela esprime e produce; la esprime nel pane spezzato che è il Corpo del Cristo spezzato per amore e nel vino versato che è il suo Sangue offerto per noi; la produce con quel pane e quel calice condivisi da fratelli che, in quell’assemblea, si riconoscono tali e si lasciano plasmare come tali!

Ma tutto ciò non avviene né magicamente né meccanicamente: celebrare davvero l’Eucaristia è non “abusare” del suo venire fedelmente ad abitare tra i suoi, ma accogliere questo suo venire (la sua presenza) come forma e stile della propria vita.

Cristo Gesù, che si fa cibo e bevanda, esprime e realizza la comunione, per cui chi vede un’assemblea eucaristica dovrebbe sempre vedere un’icona vivente dell’amore fraterno e chi esce da un’assemblea eucaristica dovrebbe sempre essere un uomo convinto di fraternità, un uomo deciso a lottare per essa, a lottare contro i propri egoismi e le proprie meschinità e mediocrità.

Nutrita dal suo corpo e dal suo sangue, la comunità cristiana diviene essa stessa il suo corpo, in grado di rendere il Cristo ancora presente e visibile nell’oggi dell’uomo, raccontando e mostrando Dio alla storia, come “evangelo” di pace e di salvezza, come evangelo di comunione!

Il mondo ha bisogno di questo, anche quando non ne è consapevole: è per questo che i cristiani dovrebbero saper ripetere, come i santi martiri di Abitene: «Non possiamo vivere senza l’Eucaristia!».

P. Gianpiero Tavolaro

Arcabas (1926-2018): Trittico di Emmaus (part.)
(Cognin, Francia, Chiesa parrocchiale)