3 Aprile 2022/ Anno C
Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
La quinta domenica di Quaresima, in questo ciclo C della liturgia romana, vuole metterci dinanzi alla realtà concreta del nostro peccato, un peccato che ci segna, in qualche modo ci trasforma, ci sfigura, un peccato che ci condanna davanti al giudice più inesorabile che ci sia: l’altro uomo e soprattutto l’uomo che si legge e presume giusto.
Lo fa con quel famosissimo passo dell’adultera che oggi leggiamo nel IV Evangelo; il brano ha sapore lucano, ma è stato inserito nel IV Evangelo per non farlo andare perduto, data l’accoglienza tiepida o il rifiuto a cui questo racconto era andato incontro: tutta questa misericordia dove ci condurrà? – si erano chiesti i rigoristi – Questo perdono ad un’adultera colta in flagranza non sarà pericoloso? Non ne può nascere un lassismo morale che incoraggi l’adulterio? E così questa meravigliosa pagina di Luca (come molti esegeti riconoscono essere) fu rigettata da molte Chiese, ma alla fine approdò al capitolo 8 dell’Evangelo di Giovanni.
La misericordia è davvero una buona notizia, tanto buona notizia da risultare scandalosa ai soliti benpensanti! C’è da rifletterci!
Protagonista è una donna, una donna che non è più una donna… è diventata il suo peccato… un peccato che si pretende distruggere uccidendo quella donna che è stata trasformata nel suo peccato! In fondo uno degli inganni del peccato è proprio questo: farci credere che siamo diventati quel peccato! L’orribile idea della morte come pena per i delitti è proprio nutrita da un mostro e da un inganno. Il mostro è la vendetta per cui si deve infliggere dolore, vergogna e morte a chi ha commesso delitti veri, presunti o azioni giudicate delitto dai potenti o dall’ordine del mondo … l’inganno è che uccidendo chi ha peccato si distrugge il peccato …
In realtà, Gesù ci fa capire che distruggendo il peccatore si scagliano solo pietre sull’uomo che ci abita; c’è da scrivere una storia nuova per l’uomo che siamo e Gesù è pronto a farlo. Chinato a terra scrive con il suo dito sulle pietre che lastricano il Tempio. Capiamo una cosa: non importa sapere cosa scriva (tanti nei secoli si sono scervellati per ipotizzarlo!), è importante il fatto che scriva … proprio come Dio sulle pietre del Sinai (cf. Es 31,18) … anche lì il dito di Dio aveva scritto una parola di libertà. Mi pare che non dobbiamo dire che questo scrivere di Gesù sia una rottura con quello scrivere del dito di Dio su quelle pietre della santa montagna della rivelazione a Israele … Gesù, invece, dà compimento a quello scrivere di Dio che già al Sinai aveva consegnato al popolo Parole che lo liberavano e che lo facevano capace di una libertà scelta e accolta!
Sulle pietre del Tempio, Gesù scrive il compimento delle Parole della Torah, compimento già intravisto dai profeti quando scrivevano parole come questa: «Misericordia io voglio e non sacrificio» (Os 6,6 richiamato da Mt 9,13; 12,7).
Quello scrivere di Gesù mi pare allora un richiamo alla potenza della Torah che quegli uomini che circondano Gesù avendogli portato quella donna, già possedevano, ma che leggevano con il filtro della durezza del loro cuore e non secondo quello che già Osea, come dicevo, aveva compreso e annunziato a Israele. Devono cogliere che quel dito di Dio che scriveva sulle piete del Sinai era dito di misericordia, dito che indica vie di vita e non di morte, vie di misericordia e non di vendetta o di giustizia o di pretesa giustizia secondo i nostri parametri mondani. D’altro canto, la parola ebraica Torah che normalmente, e in modo abbastanza sviante, significa “insegnamento”, “dottrina”, “istruzione”, “via di sapienza”; insomma la Torah è via di vita! Questa via scrisse Dio con il suo dito misericordioso!
A che serve scagliare pietre? Solo a perpetuare la morte e l’odio che il peccato amplifica nella storia degli uomini, solo a togliere futuro e possibilità di conversione, solo a pietrificare nella morte una situazione di peccato, solo a dare l’ultima parola al male e al peccato attraverso colei che è il frutto più eminente e tremendo del peccato stesso. La morte!
Chi scaglia pietre contro i peccatori, identificando gli uomini con il loro peccato, condanna se stesso perché «il giusto cade sette volte» (Pr 24,16) … dunque, tutti siamo solidali certamente nel peccato e questa è una condizione che chiama solo e sempre la misericordia di Dio! E qui Gesù la mostra …
È una misericordia che incontra, salva, restituisce dignità e individualità, una misericordia che restituisce a questa donna il suo essere donna e quella donna, che le toglie di dosso la maschera del suo peccato per ridarle il volto vero di una figlia amata e capace di libertà, capace di rialzarsi dal suo peccato.
La misericordia di Gesù non derubrica il peccato, non lo svaluta, non lo chiama con parle vezzeggiative o sminuenti, lo riconosce come tale e come una gabbia mortale dalla quale, però, si può uscire, se si vuole. Anche qui la misericordia apre vie di vita che restano tutte nelle mani di quella donna perdonata che, per ottenere quel perdono, non ha fatto proprio nulla! Non si è mossa neanche come il figlio prodigo (cf. Lc 15,20) che si è alzato dalla sua condizione degradata verso la casa del padre; quel figlio si è mosso certo per i propri calcoli e interessi – ricordiamolo sempre – non si è mosso dal pascolo dei porci perché si è pentito, ma solo perché si sente nella miseria di non essere amato da nessuno … torna facendosi dei calcoli di convenienza; si pentirà quando si sentirà abbracciato gratuitamente da quel padre che lo attendeva amandolo anche nella sua lontananza.
Nulla di tutto ciò per questa donna … non è andata lei da Gesù, ve l’anno trascinata quelli che hanno già deciso di ucciderla … ve l’hanno portata quelli che non solo la vogliono lapidare, ma che la vogliono usare per fare del male a Gesù. Si trova davanti a Gesù colma solo di terrore, forse piange soltanto e non dice una parola… finché non resta sola con Gesù.
Quando tutti sono andati via, finalmente Gesù le rivolge la parola; pensateci, fino a quel momento nessuno le ha parlato, nessuno l’ha interpellata, forse le hanno solo rivolto parole di insulto e di disprezzo… Gesù le parla! La interroga… e lei finalmente parla; Gesù le ha chiesto: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?» e lei: «Nessuno, Signore!». E poi c’è il perdono: «Neanche io ti condanno; va in pace e non peccare più!».
Secondo il detto di sfida che Gesù. Apparentemente indifferente, ha lanciato ai presenti mentre scriveva con il dito sulle pietre del Tempio, Gesù era l’unico che poteva lapidarla … l’unico «senza peccato» … e non la condanna, anzi la chiama «Donna!» e le spalanca quegli abissi di perdono, di tenerezza e di pace che la donna non poteva più neanche sperare di incontrare.
Nel silenzio che si fa quando tutti vanno via perché colti dalla parola di sfida di Gesù, avviene un incontro, quello che può e deve avvenire anche per noi! Quell’incontro che mirabilmente ha descritto Agostino: Relicti sunt duo: miseria et misericordia («Rimasero due: la miseria e la misericordia», Agostino, Discorso 16/A 5,25). È un momento di eternità in cui c’è quell’incontro decisivo che può cambiare la vita ad ognuno di noi.
Che ne sarà di questa donna?
L’Evangelo non lo dice … tutto ora è di nuovo nelle sue mani, mani che avevano toccato una grazia più grande del suo stesso cuore, quel cuore che forse si autocondannava e disprezzava; l’amore che l’ha toccata le apre la strada della vita. Se vorrà potrà percorrerla tutta. Come noi al termine di questa altra Quaresima della nostra vita … ci porterà solo ai giorni pasquali, o ci porterà a fare la Pasqua con Gesù gettando in Lui la nostra vita così come essa si presenta in questo oggi della storia?
È tutto abbondantemente nelle nostre mani perché l’amore ci ha toccato senza che nulla noi meritassimo. Così, senza meriti e amati, potremo trovarci da domenica prossima ai piedi della Croce e poi nel giardino della Risurrezione.
P. Fabrizio Cristarella Orestano