30 Aprile 2023/ Anno A
At 2,14a.36-41; Sal 22; 1Pt 2,20b-25; Gv 10, 1-10
Dominato dall’immagine del pastore, il capitolo decimo del Quarto evangelo viene a collocarsi, strategicamente, tra il segno del cieco nato (al capitolo 9) e quello di Lazzaro (al capitolo 11) e a questi segni è strettamente legato: pur mancando, sulle labbra di Gesù, l’espressione di auto-rivelazione «Io sono» tipica del Quarto vangelo (non si legge, infatti, nell’evangelo «Io sono il buon pastore»), è chiaro che è a sé stesso che Gesù intende riferire l’immagine del pastore che accoglie le sue pecore, quelle, cioè, che hanno scelto la via stretta della volontà del Padre, e per questo sono rifiutate dal mondo: il cieco, una volta recuperata la vista, è gettato fuori dai capi giudei ed è accolto da Gesù (cf. 9,34-38); e poi, è ancora Lui, Gesù, a cercare l’amico Lazzaro fin nell’abisso della morte, traendolo fuori da essa e donandogli libertà («Lazzaro, vieni fuori! … Liberatelo e lasciatelo andare!», 11,43-44).
Il primo elemento al quale prestare attenzione è il fatto che le pecore sono “sue”, del pastore: l’evangelo insiste su questa appartenenza al pastore, cioè a Cristo, che va compresa alla luce della Pasqua. Le pecore sono sue perché liberate a prezzo del suo sangue (cf. 1Pt 1,18-19): che lo si sappia o meno, che lo si accetti o meno, tutti i figli di Adam sono stati fatti suoi nell’amore della croce e non in una conquista generica, ma in una personale: il pastore, infatti, «chiama le sue pecore ciascuna per nome»!
Il nome sta a dire proprio l’intima relazione che lega il pastore a ciascuna delle sue pecore e, non a caso, quando poco più avanti, al cap. 11, Gesù dirà: «Lazzaro, vieni fuori!», sarà la pronuncia del nome a rivelare che Lazzaro è conosciuto, amato e liberato; così come, nel giardino della resurrezione, il Risorto donerà la gioia pasquale a Maria di Magdala con il solo chiamarla per nome: «Gesù le disse: “Maria!” Ella si voltò e gli disse in ebraico “Rabbunì!”» (Gv 20,16).
Se le pecore conoscono la sua voce,è perché sono conosciute da Lui: la sua conoscenza precede quella delle pecore e la genera ed è dentro questa relazione che ogni “Lazzaro”, prigioniero delle tenebre di morte, sarà liberato dal sepolcro e ogni “Maria”, che piange senza speranza, sarà aperta alla luce pasquale.
Chi invece è passato davvero per questo incontro, non può torna più indietro, a meno di non cadere vittima del peccato più grave, quello della dimenticanza e della irriconoscenza (del non-riconoscere più la voce del pastore!).
Chi ha fatto esperienza dello sguardo vigile del pastore e della sua voce amica, è disposto a seguire Gesù sempre, anche con le proprie debolezze e paure, anche paradossalmente con i propri peccati e cadute.
Chi ha fatto davvero l’esperienza dell’incontro con Lui, chi gli appartiene veramente, è segnato a fuoco da quell’incontro, sa di appartenere a Cristo e sa di essere amato e chiamato per nome: per questo, può scegliere di seguire Gesù, semplicemente, per andare dove Lui va.
Non è questione di “dove”, ma di “con”; la meta è conseguenza della compagnia: si giunge ad un “dove” Lui è, perché si desidera stare “con” Lui.
Alla vita dei discepoli del Signore occorre un vero ripartireda Cristo, dal rapporto con Lui: è necessario un ricentrare tutto sul vangelo e questo esige, a un tempo, la consapevolezza dell’unum necessarium e la disponibilità (il coraggio!) di operare un grande “sfrondamento”, togliendo tutto quel superfluo che assorbe energie spirituali e materiali distogliendo da Lui.
Se il pastore è “per” le pecore e le cerca instancabilmente, la fatica quotidiana delle pecore sarà quella di cercarlo e di riconoscere la sua presenza per centrare tutto su di Lui. E quando ciò avviene, diviene consequenziale il passare per Lui: Gesù, infatti, non è solo il pastore che guida le pecore, ma è anche la porta delle pecore, vale a dire la porta per cui devono passare: passare per Cristo è un seguire le sue tracce, portando le sue ferite pasquali per la salvezza del mondo… nella consapevolezza che, dovunque, Egli precede e prepara la via.
P. Gianpiero Tavolaro