1 Dicembre 2019/ anno 2019/2020, Omelie anno A
Is 2, 1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24, 37-44
Ecco l’Avvento! Tutto ricomincia per poterci condurre alla meta … inizia un altro anno liturgico che subito ci pone dinanzi alla più vera identità cristiana: siamo il popolo dell’attesa.
Certo, condividiamo questo atteggiamento spirituale con Israele che pure è il popolo della speranza dell’adempimento della Promessa, ma la nostra attesa attende un volto preciso ed amato, noi attendiamo Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, attendiamo il suo ritorno, attendiamo che Lui tutto reintesti al Padre (cfr Ef 1, 9-10), che tutto in Lui ritrovi la sua destinazione che è il Padre.
L’Avvento è allora un tempo a sé; è davvero segno di debolezza di fede dire che l’Avvento è il tempo di preparazione al Natale, il tempo in cui si attende il Natale. Il Natale del Signore è già avvenuto e non si attende ciò che è nel passato; noi attendiamo, invece, il ritorno glorioso del Cristo, di Gesù che tutto ha conquistato nella sua Pasqua con il suo amore fino all’estremo. Il Natale verrà dopo l’Avvento per dirci che ciò che Dio ha promesso davvero lo fa! Il Natale verrà per dirci che il Signore è fedele e che, come venne allora nell’umiltà di Betlemme, così verrà nella gloria, nell’ultimo giorno. Il Natale verrà per rassicurarci che attendere, accesi dalla sua promessa, non è insensato perché Colui che è stato fedele – oltre ogni nostra immaginazione – facendosi davvero l’ Emmanuele nella nostra vera carne, sarà fedele tornado alla fine della storia.
L’Avvento ci pone il problema di come riempire questa attesa, di come colmare di senso questo “frattempo” tra la sua Pasqua e il suo ritorno.
Insomma: come si attende?
La liturgia di questa prima domenica di Avvento ci dice ancora la promessa e lo fa facendoci ascoltare un oracolo di Isaia in cui ci è annunziataa un’opera del Signore che porterà un volto nuovo alla storia, all’umanità, al mondo tutto, un’opera del Signore che ci chiede di camminare andandole incontro.
Promessa, attesa, movimento. Se infatti la promessa genera attesa, questa, l’attesa, va vissuta andando incontro al Signore Veniente che ci chiama ad essere orecchio teso al suono dei passi del suo ritorno, ad essere vita compromessa con il suo amore che testimonia al mondo che, attendendo Lui, si riempie la storia di novità.
L’atteggiamento da cui la Chiesa è chiamata a farsi plasmare i giorni è quello della vigilanza. È necessario che la Chiesa, per essere davvero Chiesa, popolo che attende il suo Signore, popolo di fratelli che condividono con gioia e amore l’attesa del Signore, smetta i panni del sonno e dell’intontimento. È necessario scrollarsi di dosso tutto ciò che ottunde cuore e mente; è necessario rivestirsi di quello stesso Signore che si attende. Sembra quasi che quel rivestirsi di Cristo sia via che acceleri il ritorno del Signore; quanto più ci si riveste di Lui, tanto più si fa pronta la storia a giungere ad una pienezza che avrà bisogno poi solo del sì di Dio. Rivestirsi di Cristo con un assenso pieno e cosciente è opera di ogni giorno per il discepolo, è opera di libero assenso. Se nel Battesimo realmente siamo rivestiti di Cristo questo non è un mero automatismo, è dono che chiede, esige risposta; rivestiti di Cristo nel Battesimo è necessario che liberamente desideriamo rivestirci di Lui in una vita che abbia davvero il sapore della differenza.
La vigilanza è qualcosa di semplicissimo e di grandissimo … il testo di Matteo (quest’anno liturgico sarà questo evangelo ad accompagnarci) che oggi si proclama in questa Prima domenica d’Avvento è straordinario … Gesù non parla di un tempo di particolare iniquità, di un tempo di grandi peccati, di dissolutezze, non sottolinea dei concreti peccati o dei delitti o delle palesi empietà; dei giorni di Noè sottolinea una cosa tremenda che noi conosciamo bene: l’eccesso di “quotidiano”. Cioè? Il lasciarsi vivere, il vivere immersi in una vita di cui non si conoscono più le reali coordinate, in una vita non scelta, di cui non si conoscono i motivi profondi … Gesù stigmatizza una vita in cui tutto è divorato da un fare che annienta la vita stessa. Gli uomini e le donne descritti in questa parole di Gesù che Matteo ci consegna non sono malvagi … sono uomini e donne che non vivono più, che hanno fatto della loro vita una “routine” che li vive! Sono vite senz attesa, senza profezia, vite indifferenti a ciò che davvero conterebbe … i giorni di Noè allora quali sono? Sono i giorni in cui smetto di attendere e sognare, sono i giorni in cui hanno la meglio i bisogni primordiali, sono i giorni in cui “mi accontento” (terribile!) e io mi basto … sono i giorni in cui non so andare a nessun “oltre” … sono i giorni in cui voglio “pascolare” nel mio piccolo e sicuro fraticello e non me ne importa nulla delle infinite praterie che sono oltre la mia siepe e che potrebbero scomodarmi. I giorni di Noè sono i giorni sprecati e senza Dio … i giorni in cui, anche se qualche voce profetica si leva, preferisco sbeffeggiarla e volgermi alle cose che il mondo ritiene “concrete”! E se il profeta continua a parlare gli grido di stare “con i piedi per terra” e di non volare con la fantasia! Ecco i giorni di Noè!
Per uomini così il ritorno del Signore non ha senso … non lo si attende, non lo si vuole attendere … lo si relega tra i miti. Eppure verrà quando meno lo si attende … come un ladro … in situazioni di ottundimento e grettezza, come quelle che prima cercavo di descrivere, bisognerebbe augurarsi che il Signore venga come un ladro, come un ladro che porti via da noi tutto ciò che ci stordisce, che porti via ciò che non è essenziale! Venga come un ladro a renderci capaci di non mettere il cuore in ciò che non è l’Evangelo, la bellezza, l’umano; venga come un ladro per restituirmi a me stesso, alla mia vita, per restituirmi alla verità ed alla semplicità delle relazioni … venga come un ladro a dire a ciascuno di noi che non abbiamo bisogno di altro che della nostra verità umana, ci restituisca a noi stessi e ci tolga dall’essere ostaggio del superfluo e dell’inutile …
Saremo uomini dell’Avvento se, per sua grazia, riusciremo a calarci nel nostro umano d’origine.
Il “frattempo” allora va riempito di questa vigilanza capace di riconoscere il Signore che viene a prendere da me tutto ciò che non è essenziale al mio umano e al mio essere suo.
Forse questa lettura del Signore che viene come un ladro non è strettamente esegeticamente corretta da un punto di vista scientifico ma mi pare una metafora fortemente significativa della capacità di vigilanza che ci è richiesta. Direi, paradossalmente, che saremo vigilanti se ci lasciamo derubare dal Ladro Veniente tutto ciò che ci impedisce d’essere uomini liberi, veri uomini, uomini convinti del primato del Cristo che è venuto a far nuove tutte le cose e che verrà per portare tutto a compimento.
Se ci abbandoniamo a Lui e alle sue mani saremo uomini e donne di attesa pura … mai prigionieri di un presente senza sbocchi … diversamente, come nei giorni di Noè, si rischia di affogare!
P.Fabrizio Cristarella Orestano