NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

25 Dicembre 2022/ Anno A

MESSA DELLA NOTTE

Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14 

MESSA DELL’ AURORA

 Is 62,11-12; Sal 96; Tt 3,4-7; Lc 2,15-20 

MESSA DEL GIORNO

 Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18

            Come ogni anno leggiamo i testi dell’Evangelo di Luca sulla Natività … testi carichi certamente di bellezza, di poesia, direi di canto (e infatti quanta bellezza hanno generato nell’arte: dalla pittura alla scultura, dalla letteratura alla musica!) ma anche testi di una straordinaria densità teologica, anzi tra i più densi teologicamente di tutto il Nuovo Testamento. Non ci inganni tutta la bellezza e la poesia di queste pagine, non si liquidino come racconti edificanti o mitici; immergiamoci invece in essi come cristiani maturi nella fede, immergiamoci in questi testi straordinari per farci rigenerare dalla rivelazione altissima che essi ci consegnano. Non una lettura ingenua o banalmente cronachistica, ma neanche una lettura che smarrisca le coordinate concretamente storiche di questi avvenimenti. Con questi testi evangelici, correlati al racconto diversissimo di Matteo, celebriamo il Natale del Signore dalla notte a tutto questo periodo fino all’Epifania.

            Natale è arrivato alla fine dell’Avvento per cantarci la fedeltà di Dio che compie le sue promesse … le attese di Israele non sono andate deluse, anzi sono state superate dal compimento. Chi poteva supporre questa carne di Dio?

            Essere, come Chiesa, in costante tensione verso il ritorno del Cristo, è sensato … la nostra attesa è confortata da questi santi racconti della sua prima venuta a Betlemme! Una venuta che racconta Dio! E lo fa in un modo davvero eversivo!

            Luca, infatti, racconta la nascita di Gesù in un modo che è assolutamente “pericoloso”, contraddicente ogni buona logica e ogni buon senso mondano.

            Sullo sfondo di questo racconto Luca pone un censimento: Cesare Augusto ha ordinato un censimento di tutta la terra! Nessuna parola è a caso! Colui che si fa chiamare Cesare, cioè “comandante”, che si fa chiamare Augusto che significa “da adorarsi”, presuppone di avere un potere che si estende su tutta la terra; ne è sicuro perché tutta la terra conosciuta vede le sue legioni ben armate che mantengono la “pace” e in ogni terra c’è un suo rappresentante con pieni poteri, come quel Quirinio che Luca nomina per la regione in cui i fatti narrati si svolgono.

            Un censimento è un atto che ha un triplice valore; ha un valore economico: quanti sudditi pagano te tasse a Roma, quanti sono mano d’opera per le sue imprese? Ha un valore militare: quanti uomini possono essere coscritti per combattere o, di contro, di quanti uomini c’è bisogno per contrastare un’eventuale rivolta in ciascuna regione? Ha un valore politico: come è l’umore dei sottoposti? Sono davvero sottomessi? È necessario creare altri presidi per governarli? O si devono inventare dei nuovi mezzi per divertirli e intontirli?

            Anche David, al culmine della sua potenza, agli occhi di Dio aveva commesso il gran peccato di voler fare un censimento … il Signore non lo tollererà (cf. 2 Sam 24).

            Insomma, Luca ci dice che nell’ora in cui nasce il Messia Gesù tutti sono pieni di calcoli e di conti … si contano le forze, i soldi, il potere …

            E Dio?

            Dio viene e smonta nel silenzio tutto questo castello di pretese.

            Dio passa per quella coppia insignificante, che non conta nulla … in quel via vai impazzito di gente, che viaggia per obbedire ad Augusto, Dio percorre quelle stesse strade nel grembo di una ragazza spaurita che può contare solo sulla protezione del suo ragazzo.

            Gi angeli in quella notte diranno ai più lontani, ai pastori, non solo poveri ma anche disprezzati, considerati impuri, inadempienti alla Torah e sospetti di turpi abitudini, che le redini della storia non stanno sul Palatino, a Roma, dove Augusto ha edificato il suo Palazzo del potere! Le redini incredibilmente sono nelle mani di un neonato partorito da quella ragazza di Galilea, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Contrariamente ad Augusto, Dio non si preoccupa né di economia, né di forze militari, né di politica.

            Dio si mostra disarmato e disarmante: è un neonato! L’angelo dirà ai pastori che avranno un segno con cui potranno confrontarsi per scegliere di fidarsi di quella rivelazione così straordinaria: «un neonato (in greco bréphos, parola greve, brutale, che significa “neonato appena partorito”!) avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia». Il segno è un neonato impotente! Ogni immagine religiosa di Dio è distrutta già qui nell’Evangelo! L’uomo vorrebbe un Dio potente che si prenda cura dell’uomo e gli risolva tutti problemi e le asperità della vita e invece Lui viene impotente al punto che bisogna prendersi cura di Lui!

            A Natale ci vien detto che Dio viene a noi nudo, rivestito solo delle fasce che Maria gli mette addosso, fasce che non possono non ricordarci altre fasce, quelle con cui verrà avvolto quello stesso corpo calato dalla croce, fasce che contraddicono tutti i “vestiti” che noi uomini mettiamo addosso a Dio!

            Scrive Bruno Maggioni: “Se ascoltassimo davvero il messaggio del Natale ci si dovrebbero rizzare i capelli. Si presenta a noi un Dio debole, debole davanti alla nostra libertà». È così: o lo accogli con amore e fidandoti di quella debolezza sconcertante o Lui si fa da parte! Non si impone!

            Il racconto di Luca ci dice che Dio, nella nostra vita, ha bisogno di cura! È vero: se noi non curiamo la sua presenza in noi, la Parola che in un giorno benedetto ci ha consegnato, se non curiamo la memoria del Volto che in un attimo santissimo della nostra vita ci ha fatto intravedere (pensiamoci: tutte cose deboli, fragili, che possiamo facilmente distruggere e negare!), Lui “muore” in noi, nei nostri cuori, nelle nostre vite, nelle ore delle nostre giornate che scorrono inesorabili e che senza di Lui ci consegnano al non-senso: Lui “muore” se non curiamo la sua “fragile potenza” in noi!

            A Natale forse l’augurio più grande che dobbiamo farci è proprio questo: scegliere di “curare” Dio in noi al punto di dargli il nostro spazio, la nostra carne, la nostra concreta esistenza perché possa ancora dire l’Evangelo al mondo!

Non neghiamolo: il mondo di oggi oblia sempre di più Dio, prende sempre più le distanze dal cristianesimo, dalla Chiesa … molti in questi giorni, se sentissero i nostri discorsi e anche i nostri racconti evangelici sul Natale (che noi, ciecamente, ancora consideriamo notissimi e “popolari”) non capirebbero neanche più di cosa stiamo parlando. È così! Solo l’incarnazione può riconquistare gli uomini, la storia, un’incarnazione che però, dopo più di duemila anni, ha bisogno solo della nostra carne … solo lì può avvenire ancora il mistero dell’incarnazione che si è realizzato nel grembo della Vergine Maria fino alla nascita a Betlemme e che oggi attende la carne concreta della sua Chiesa, di quel “piccolo resto” che ne avrà il coraggio perché tutto ricominci e l’Evangelo continui la sua corsa fragile, ma potente, tra gli uomini!

            Come bisognerà dire l’evangelo al mondo? In noi lo dirà ancora una volta nel suo stile: nella “fragilità” delle nostre vite imperfette e a volte incompiute … quel che sarà necessario per renderle vite narranti l’Evangelo è che siano vite date, in autentica ricerca di una libera consegna … così, anche se fragili, saranno racconto credibile di quell’Evangelo, di quella bella notizia che è gloria di Dio e pace per tutti gli uomini amati da Lui!

P. Fabrizio Cristarella Orestano

Manuel Brianza (El Pitùr): Natività incompiuta