VENTIQUATTRESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

12 Settembre 2021/ Anno B

Is 50,5-9a; Sal 114; Gc 2,14-18; Mc 8,27-35

Nel suo Evangelo, Marco annota degli inizi: l’inizio dell’evangelo (1,1) che si manifesta con l’apparire del Battista e con la sua predicazione, l’inizio della predicazione del discepoli quando Gesù inizia appunto ad inviarli (6,7) ed ora qui Gesù inizia ad annunciare la via della croce.

            La pagina che oggi si legge è davvero il cuore dell’Evangelo di Marco, è il centro della narrazione in cui viene posta la grande domanda, la più essenziale: «Voi chi dite che io sia?». È la domanda circa l’identità di Gesù; tutta la prima parte dell’Evangelo aveva mostrato, con i miracoli (che Marco, come dicevamo, designa con la parola dýnamis, “potenza”) e le parole piene di exousìa (di “autorità”), un’identità di Gesù che però non è esaustiva e può essere ingannevole se non viene corretta da ciò che Gesù stesso, da questo momento dell’Evangelo in poi, annuncia e rivela: la via della croce. Nel testo di oggi ascoltiamo il primo dei tre annunzi della Passione con cui Gesù svelerà sempre più il suo vero messianismo.

            Le risposte della gente circa l’identità di Gesù sono vaghe e generiche, sono riletture di Gesù a partire dal passato («Elia, uno degli antichi profeti, Giovanni il Battista») e Gesù rivolge la domanda ai suoi, a quelli che, nella sezione precedente sono sempre quelli che non capiscono e che hanno bisogno di essere aperti alla parola nuova (il miracolo del sordo incapace di parlare correttamente aveva al suo cuore quell’essenziale sospiro di Gesù: Effatà)… ed ora eccola la parola nuova che bisogna ascoltare e ora Gesù la dirà, è la parola sul suo soffrire… solo così si giunge a capire Lui chi sia. Alla domanda di Gesù Pietro ha risposto correttamente: è il Messia. Il problema di Pietro è però che quel Messia che lui pensa è quello secondo lui e non secondo Dio; è il Messia che risponde alle sue domande ed alle sue attese, è il Messia fatto ad immagine delle sue aspirazioni e del suo buon-senso…

            Gesù acconsente a quella risposta ma chiede, come al solito in Marco, di non ridire alla gente quella parola Messia … è la verità ma è una verità che può essere mal compresa cioè compresa a partire dalle attese; ora è, invece, tempo di farsi cambiare le attese e così Gesù inizia ad annunziare la via della croce; è sì il Messia ma è un Messia di intollerabile alterità, è un Messia inconcepibile per ogni buon-senso religioso e per ogni attesa trionfalistica. È un Messia umiliato, riprovato, sofferente, ucciso! Non semplicemente morto ma, ucciso, morto per violenza. Gesù stesso aveva dovuto comprendere, certo con paura e tremore, che l’unica via che poteva imboccare per raccontare l’amore altro di Dio era quella che il Libro di Isaia già indicava, quella del Servo sofferente. La prima lettura di oggi ci ha fatto ascoltare un tratto del terzo dei carmi del Servo; Gesù deve aver letto e ascoltato queste stesse parole trasalendo e comprendendole per sé, per il suo cammino di Messia diverso, di Messia “altro”.

Marco scrive che Gesù annunzia la sua passione con parresίa, con franchezza, apertamente. Senza timore di scandalizzare, senza timore di essere abbandonato. Dire che è il Messia, che è il Figlio di Dio è esatto, ma incompleto. C’è il rischio di leggere il Messia, il Figlio di Dio (titoli che Marco aveva dato a Gesù fin dall’inizio del suo Evangelo!) secondo gli uomini e non secondo Dio.

            È quello che fa Pietro! Pietro protesta (il verbo greco epitimáo significa “proibire”, “protestare”), vorrebbe proibire a Gesù di dire quelle cose: sono intollerabili! Pietro riconosce l’identità messianica di Gesù, ma rifiuta il modo di Gesù di essere Messia. Pietro faticherà fino alla fine a capire le vie altre di Gesù, fino a quando lo troveremo nel Getsemani ancora armato di una spada; d’altro canto Gesù, nell’Evangelo di Matteo, lo chiama barjona (cfr. Mt 16,17) che lungi dal significare “figlio di Giona” significa in verità “latitante”, “terrorista alla macchi (i barjona erano un gruppo di ribelli violenti contro il potere romano); insomma Pietro deve spogliarsi di quell’uomo vecchio che pretendeva di costruire il Regno di Dio restaurando con la forza il regno davidico contro l’impero di Roma; Pietro deve lasciare il proprio progetto per seguire davvero quello di Gesù. Se nella sua chiamata al lago Gesù gli aveva chiesto di lasciare delle cose (le reti, la barca) qui Gesù gli chiede di lasciare i propri progetti, la propria visione delle cose e del mondo.

            Gesù lo chiama “satana” perché in Pietro parla la tentazione, parla Satana che lo aveva tentato nel deserto per sviarlo dal progetto del Padre; Satana chiede a Gesù di essere un Messia che si afferma con gesti clamorosi e Pietro gli vuole vietare la via della croce perché pensa che lo smentisca come Messia … in realtà sia Satana che Pietro cercano di impedirgli di fare la sua strada, quella che coincide con la volontà del Padre che è quella di narrare l’amore mite e misericordioso di un Dio che dona tutto se stesso, il cui potere è un potere di misericordia, che si fa debole per raggiungere i deboli e i peccatori, che si fa compagno dell’uomo fin negli inferni del dolore e, perfino, della morte.

            Gesù, si badi, non allontana Pietro da sé, ma gli dice di tornare al suo posto di discepolo: «Dietro di me, Satana!». Se Pietro tornerà al suo posto di discepolo non sarà più “satana” perché non pretenderà più di indicare la strada a Gesù ponendosi davanti a Lui come inciampo. Se tornerà al suo posto di discepolo imparerà a seguire il Maestro e a non sostituirsi a Lui nel fare progetti; se starà al suo posto di discepolo lo potrà seguire sulle vie difficili della passione e così capirà chi davvero sia Gesù. Quando Pietro avrà imparato questo, quando avrà imparato qual è il suo messianismo, lo seguirà fino alla croce, fino a lasciarsi crocefiggere per Lui e con Lui nel circo di Nerone nella lontanissima Roma …  intanto deve ascoltare il Signore che parla con parole intollerabili, con le parole tra le più dure dell’Evangelo: seguirlo prendendo ciascuno la propria croce che è quella su cui deve morire l’uomo vecchio con i suoi progetti, i suoi pensieri secondo il mondo, il suo tremendo buon-senso. Deve ascoltare Gesù che dice quell’espressione paradossale e verissima: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per me causa mia e dell’Evangelo, la salverà».

            Il problema è capire cosa è salvarsi. È realizzare i propri pensieri, è avere come fine se stessi o è realizzare i progetti di Dio ed avere come fine il suo Regno? Il mondo pensa in un modo, Dio in un altro! Convertirsi è sostituire in noi i pensieri del mondo con quelli di Dio. È quanto Pietro è chiamato faticosamente a fare, è quanto noi siamo chiamati a fare.

            Lasciamoci interpellare da Gesù: «Tu chi dici che io sia?».

            Nella nostra cappella monastica il titulum crucis del grande Crocifisso dell’abside porta scritta in greco questa domanda: «Voi chi dite che io sia?».

            Dinanzi al Crocifisso gli equivoci cadono tutti; se Lui è il Messia è un Messia crocefisso; vogliamo essere discepoli del Messia crocefisso?

            Pietro, alla fine della sua vita, lo volle e finì anche lui su una croce …  dobbiamo preoccuparci se non finiamo su una croce anche noi … lo scrivo e tremo ma non posso non scriverlo; è bene che ce lo diciamo e che lo sappiamo … poi lottiamo per questo!

P. Fabrizio Cristarella Orestano

Michelangelo Buonarroti: Crocifissione di Pietro (1546-1550),
Vaticano, Cappella Paolina.