Anno A/9 Settembre 2020
1Re 19, 9a.11-13a; Sal 84; Rm 9, 1-5; Mt 14, 22-33
Il passo dell’evangelo di questa domenica si apre con la fede di Gesù e si conclude con la fede che la Chiesa deve avere e nutrire.
Dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù si ritira in preghiera. Non ci è dato di sapere molto di questa preghiera segreta di Gesù al Padre. Certo Gesù sa pienamente di essere il Figlio e questo entrare in quell’intimità esprime questa completa consapevolezza; in quest’ora di intimo colloquio la piena e vera umanità di Gesù vive però di fede e non di visione, Gesù crede nel Padre e nella sua presenza, crede che il Padre lo ascolta (cfr Gv 11, 42); in quell’ora di intimità Gesù sente il Padre proprio come Elia sull’Oreb nella voce di silenzio trattenuto in cui Lui si manifesta, in quel silenzio Gesù si confronta con la volontà del Padre per verificare le vie che sta percorrendo nella sua missione. Tutto questo, però, sempre nella fede; questo ci deve essere ben chiaro: nessuna “visio beatifica” per Gesù, mai nessuna visione diretta, meridiana ed indubitabile del Padre, nessuna esenzione dalle vie impervie e faticose della fede.
Il racconto di Matteo passa poi da questo silenzio trattenuto, in cui Gesù prega, al fragore di una tempesta che vede i discepoli a lottare con la paura che è la vera antitesi della fede. Il racconto però si chiuderà con una solenne professione di fede da parte dei discepoli: Tu sei veramente il Figlio di Dio!
E’ chiaro: per l’Antico Testamento comandare alla potenza impressionante del mare è solo di Dio; fu già questa l’esperienza fondante della fede di Israele; il popolo uscito dall’Egitto ebbe a che fare con l’invalicabile ostacolo del Mar Rosso e lì vide la potenza del Signore sulle acque; ora sul lago di Genezareth i discepoli sono impressionati dal dominio di Gesù su quelle acque tempestose che non solo saranno placate da Lui ma sulle quali lo vedono camminare. E’ la potenza della Pasqua di Cristo che qui Matteo già ci fa intravedere; la quarta veglia della notte di cui Matteo parla non può non richiamare “la veglia del mattino” in cui il Signore travolse i carri degli egiziani (cfr Es 14,24); è dunque il Cristo pasquale che qui si mostra vittorioso sugli abissi del male ed il suo Io sono! richiama con potenza il nome divino rivelato a Mosè sull’Oreb e sperimentato dal popolo proprio nel cammino dell’Esodo. In quel cammino il Signore mostrò davvero di esserci per il suo popolo.
Questa scena sul mare è una chiara metafora della situazione della Chiesa all’indomani della Pasqua: la barca della Chiesa sarà avvolta tante volte dai flutti impetuosi della persecuzione, dell’incomprensione, della morte, del peccato, del suo stesso peccato, della terribile possibilità che la Comunità dei discepoli si faccia travolgere da dinamiche mondane che seducono e che le stravolgono il volto…come dominare questo mare di male? Come salvare la fragile barca della Chiesa di Cristo? In questi tempi davvero la domanda sul futuro della Chiesa si fa seria e pressante; oggi la tempesta avvolge la barca della Chiesa, una tempesta che l’assedia dall’esterno ma soprattutto dobbiamo ravvisare una tempesta che l’assale dall’interno; quanto disorientamento, quante lacerazioni, quante divisioni, quanta serpeggiante aria di scisma; la barca della Chiesa è tirata da venti di “restaurazione” che follemente vogliono negare il Concilio o addomesticarne la portata, è tirata da venti contrari che rischiano di mondanizzarla per renderla gradita al corso delle cose del secolo. In più la Chiesa è imbrattata da peccati e tradimenti, da svuotamenti di senso e da oblio dell’essenziale, la vita religiosa è al lumicino colma troppo spesso di contraddizioni colpevoli, le vocazioni sono al minimo storico e con qualità altrettanto minime, il laicato boccheggia e gli stessi movimenti sono al disarmo o quasi … tutto ciò, naturalmente, con le dovute eccezioni e con luci di santità che comunque brillano. Che fare? L’evangelo di questa domenica risponde che c’è solo una via: la fede.
Matteo, riprendendo il racconto parallelo di Marco (6, 42-52), aggiunge l’episodio di Pietro che cammina anch’egli sulle acque. Credo che il centro del racconto di Matteo sia proprio qui. Pietro cammina sulle acque ma non per propria virtù; tutto dipende dalla parola di Gesù: Vieni! È quella parola che sostiene i piedi di Pietro sul tumulto delle acque, è quella parola ascoltata con fiducia. Quando la fede viene meno, o sopravanza la presunzione, le acque impetuose tentano di sommergere Pietro; Matteo consegna alla Chiesa il grido di Pietro, lo consegna alle nostre vite credenti: Signore, salvami! È un grido che ha la sua forza nella duplice coscienza della propria impotenza e della potenza di Cristo che rende possibile l’impossibile.
E’ la fede del discepolo, è la fede della Chiesa che permette che si cammini nelle contraddizioni e nelle tempeste della storia; non solo nelle tempeste che sono le opposizioni e le persecuzioni ma anche e soprattutto, come già dicevo, nelle tempeste che sorgono dentro, nelle tempeste che sono le divisioni, le tentazioni lusinghiere di mondanità, di potere, di indifferenza, cose tutte che sfigurano il volto della Chiesa e sommergono la sua barca in flutti violenti e impietosi.
La scena di Pietro che cammina sulle acque per Matteo ha ancora un senso ed è un monito che è importante che la Chiesa colga: ciò che conta non è tanto imitare Gesù ma seguirlo; se Pietro pretende di imitare Gesù fallisce, basta un colpo di vento…se invece vuole seguirlo tutto diviene possibile. Quando è che Pietro comincia a seguirlo e smette di fidarsi di sé? Solo quando grida: Signore, salvami!
Dov’è la differenza tra imitare e seguire? Non è tanto in ciò che si fa ma è nello spirito di ciò che si fa: quando crediamo di poter fare senza di Lui o quando ci mettiamo nelle sue mani e gli gridiamo di salvarci. In pratica il problema è quando ci fidiamo di noi o quando ci fidiamo di Cristo Gesù.
Solo la sua voce e la sua mano sono forza e pace per la Chiesa. Quando lasciamo poco spazio alla speranza perché avviliti dalle forze contrarie, esterne ed interne, è necessario immergersi nella fede ed in essa volgere l’orecchio alla sua parola e tendere la mano alla sua mano! E allora la tempesta si placa e si può riposare in Lui e con Lui.
E si può ricominciare la lotta!
P. Fabrizio Cristarella Orestano